Zahra Joya è una giornalista afghana che, nel novembre 2020, ha fondato la testata Rukhshana Media, uno spazio che racconta la vita delle donne attraverso la loro voce.
Prende il nome da una donna lapidata a morte dai talebani nel 2015, simbolo di tutte le vittime della società patriarcale. Da allora la sua squadra al femminile composta da cinque professioniste e altre volontarie, ha dato notizie su temi che riguardano la vita delle afghane, dal tabù delle mestruazioni ai matrimoni precoci, le molestie in strada, le difficoltà economiche, la violenza e discriminazione di genere, fino alla vita che si conduce da sopravvissute allo stupro.
Zahra Joya è nata nel 1993, in pieno regime talebano, per andare a scuola si vestiva da maschio e si faceva chiamare Mohammed. Per sei anni parlava, camminava, si vestiva come un maschio per poter avere il diritto all’istruzione. Si rifiutava di vestire abiti femminili anche fuori dalla scuola, perché aspettava il giorno in cui anche alle ragazze fosse concessa la possibilità di istruirsi. Quando aveva dodici anni, col governo di Hamid Karzai ha potuto frequentare la scuola vestita come una bambina, situazione che le ha comportato molto disagio tra i compagni che la credevano un ragazzino e che la rendeva la più acculturata delle giovani del suo villaggio. Riuscita a convincere il padre a iscriversi all’università, con l’aiuto di un’amica aveva trovato lavoro per mantenersi a Kabul. Appena ha potuto, ha fatto trasferire la famiglia nella capitale per dare alle sue tre sorelle la possibilità di studiare e cambiare il proprio destino.
Ha lavorato in varie redazioni fino a quando ha deciso di fondare la sua rivista investendo i suoi fondi personali con la speranza di riuscire a ricevere donazioni una volta capita l’importanza sociale del loro lavoro.
“Ora più che mai, mentre i nostri peggiori incubi si avverano, le donne afghane hanno bisogno di una piattaforma da cui parlare per se stesse”.
Di recente è stata costretta a scappare dall’Afghanistan perché rischiava la vita e si è rifugiata in Gran Bretagna.
Continua a scrivere su Rukhshana Media ed è rimasta in contatto con diverse colleghe in patria che, per lavorare, usano degli pseudonimi.
In Afghanistan quasi tutte le giornaliste hanno smesso di lavorare da quando i talebani hanno preso il controllo. Nel 2020 le donne che lavoravano per i media nelle province di Kabul, Herat e Balkh erano più di 1.700, attualmente sono 39 in tutto il paese.
Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, Radio Television Afghanistan, la televisione di stato, fino alla metà di agosto aveva 140 giornaliste impiegate, ma nessuna di loro è tornata a lavorare per paura della propria incolumità.
I talebani, che mentono dicendo di salvaguardare il diritto al lavoro e all’istruzione delle donne, hanno dichiarato che le radio possono continuare a funzionare ma senza musica e voci femminili.
Zahra Joya ha intenzione di continuare il suo lavoro per far risuonare voci e istanze delle donne afghane.
Dobbiamo lottare contro i talebani e continuare a lottare per i nostri diritti, per questo sto cercando di continuare il mio lavoro.
A corto di risorse, che al Time ha descritto come pressoché irreperibili per l’informazione di genere, ha lanciato online una raccolta fondi.
Gli uomini sono al comando. Controllano il campo della guerra e della politica, i media e lo spazio pubblico. Sono loro a decidere che cosa ‘vale la pena’ e che cosa ‘importa’ in Afghanistan. Il punto di vista delle donne è quasi sempre escluso. Negli ultimi sette anni ho lavorato come giornalista per varie testate. Spesso ero l’unica donna nella stanza, ho capito che il punto di vista delle donne non è considerato e le nostre voci sono costantemente messe al margine.
Dal suo esilio forzato, lancia continui appelli e scrive approfondimenti affinché le voci femminili siano ascoltate e non condannate al silenzio imposto dal nuovo assetto talebano.
#unadonnalgiorno