“Non voglio essere vista come un’eterna vittima. Alla società piace questa immagine della donna debole, ma io adesso mi vedo come una vincitrice“.
Yvette Samnick è nata a Okola in Camerun, il 28 gennaio 1985. Ha conseguito una laurea presso l’Università Yaoundé II del Camerun per poi venire in Italia, a Cosenza, nel 2014, dove grazie a una borsa di studio, si è laureata in Scienze politiche all’Università degli Studi della Calabria.
È una mediatrice culturale che si è formata con un progetto della rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re per donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate, sopravvissute alla violenza. Collabora anche con UNHCR.
Ha scritto un libro, Perché ti amo in cui ha raccontato la sua storia, a partire dalle violenze domestiche subite per 25 anni dalla madre, sposata con un uomo poligamo e violento e di ciò che ha subito, da adulta, in Italia.
Il suo compagno, padre di suo figlio, ha iniziato a picchiarla e a esercitare contro di lei una forte violenza psicologica. Ha subito soprusi, insulti anche dai genitori di lui, che la minacciavano di toglierle il bambino. Ha sopportato queste angherie per due anni, per paura di perdere suo figlio.
Ha trovato la forza di mettere nero su bianco la sua testimonianza, con la stessa rabbia di quando racconta la doppia discriminazione che ancora subisce come donna e come nera.
Insieme a sua madre, ha creato l’Associazione Camerunense di Lotta contro le Violenze sulle Donne (Aclvf) per sensibilizzare le connazionali e creare dei centri antiviolenza con i soldi ricavati dal libro.
In Camerun, non ci sono ancora leggi che tutelano in modo adeguato i diritti delle donne vittime di violenza; la poligamia è ampiamente tollerata, anzi vista in maniera positiva. Il progetto, che si propone di aiutare le donne a essere indipendenti e rifarsi una vita, offre corsi di formazione da sarta. Si sta battendo anche affinché, fin dalle scuole elementari, vengano introdotti dei corsi sulla differenza di genere per educare al rispetto e alla tolleranza.
Ho subito il razzismo all’interno della vita di coppia, sentendomi dire quando è nato mio figlio: “meno male che è bianco” ma lo subisco pure come donna e straniera. Nel senso che mi è stato più volte detto da altre persone che “quelle della mia razza vanno solo usate sessualmente e mandate via. Anzi, buttate”. Ancora oggi, quando esco da casa c’è sempre qualcuno che mi fa offerte in denaro in cambio di prestazioni sessuali. È incredibile doversi sempre giustificare per quello che sei e per quello che non sei. Nel senso che sono nera ma devo sempre, con rabbia, far capire che non sono una prostituta o un essere inferiore. Sono una donna che lavora, scrive, pensa, fa la madre.
#unadonnalgiorno