“Ho fotografato i momenti della vostra eternità, perché non andassero perduti”.
Vivian Maier, fotografa statunitense che per tutta la vita è stata una tata vivendo in assoluto anonimato. È diventata famosa e esposta in tutto il mondo solo dopo la sua morte, grazie a una fortuita scoperta.
Nacque a New York il primo febbraio 1926, sua madre era francese e suo padre aveva origini austro-ungariche. Si separarono presto e lei crebbe da sola con la madre in Francia, condividendo un appartamento con la fotografa Jeanne Bertrand che probabilmente le aveva trasmesso la passione della fotografia.
In gioventù aveva viaggiato moltissimo in Asia e in Europa, fotografando e conservando stampe e negativi in un magazzino.
Dal 1938 è tornata negli Stati Uniti, si manteneva lavorando come governante in alcune famiglie, continuando sempre segretamente a fotografare.
Dall’inizio degli anni ’60, ha cominciato a filmare per strada, specialmente luoghi e eventi, senza una voce narrante, producendo filmati simili a documentari.
Poi è passata alla fotografia a colori focalizzandosi su elementi più astratti, oggetti, giornali e graffiti.
Il percorso artistico di Vivian Maier non è riconducibile a una specifica corrente artistica. Ritraeva ciò che le sembrava degno di nota, sviluppando solo parte dei negativi, come se volesse custodire per sé le immagini catturate.
Ha riprodotto la cronaca emotiva della realtà quotidiana. I soggetti delle sue fotografie erano le persone che incontrava nei quartieri degradati delle città, frammenti di una realtà caotica piena di vita, instanti catturati nella loro semplice spontaneità.
Molte foto testimoniano i suoi viaggi in giro per il mondo, con uno sguardo meravigliato e incuriosito sulla società contemporanea.
Di particolare interesse è la serie di autoritratti, che vede la sua figura su superfici riflettenti, specchi o vetrine di negozi, con la macchina fotografica al collo.
Alla fine degli anni ’90, ormai senza casa, Vivian Maier venne costretta a relegare tutte le sue cose in un magazzino, da cui vennero poi vendute all’asta.
È morta in povertà, il 26 aprile 2009, in una casa di cura di Chicago.
I suoi numerosi scatti sono stati trovati dal regista John Maloof, che per caso li aveva acquistati cercando fotografie sulla città di Chicago. Impressionato dai suoi lavori, decise di ricostruirne la vita e indagarne la personalità.
Ne ha tratto così un film documentario dal titolo Finding Vivian Maier in cui racconta la vita della fotografa attraverso le testimonianze di coloro che la conobbero, le famiglie per cui aveva lavorato e le amiche. Una produzione vastissima che non era mai stata condivisa, neanche con le persone che amava.
Il film ha ricevuto una nomination agli Oscar nel 2015.
Il materiale rinvenuto da John Maloof è composto da oltre 150mila negativi, filmati super 8mm, tantissimi rullini mai sviluppati, foto e registrazioni audio.
È incredibile il destino di questa donna che ha passato una vita nell’anonimato per poi diventare, dopo la sua morte, una delle artiste più esposte e conosciute in tutto il mondo.
#unadonnalgiorno