Sylvia Plath, autrice statunitense, la più importante rappresentante della ‘poesia confessionale’.
Una donna geniale e tormentata che ha sofferto per tutta la vita di una grave forma di depressione ricorrente tra periodi di intensa vitalità.
Nota soprattutto per le sue poesie, scrisse anche un romanzo autobiografico, La campana di vetro (The Bell Jar), vari racconti e un dramma teatrale. Tenne anche un diario nel corso della sua vita che venne pubblicato postumo, anche se alcune parti furono distrutte da suo marito, Ted Hughes.
La fama, arrivata dopo il suo suicidio, portò a un riconoscimento del valore letterario delle sue opere al punto che, nel 1982, venne insignita del Premio Pulitzer postumo per la sua intera produzione poetica.
Sylvia Plath nacque a Boston il 27 ottobre 1932. Sua madre, Aurelia Schober, era di origine austriaca, suo padre, Otto Emil Plath, entomologo di origine tedesca, morì poco prima che lei compisse 8 anni, nello stesso periodo ha pubblicato la sua prima poesia. La perdita del genitore lasciò il primo segno indelebile nella sua esistenza.
Nel 1950 iniziò a frequentare lo Smith College, rinomata università femminile del Massachusetts, nel 1953 passò un mese a New York per fare uno stage nella rivista Mademoiselle. In quel periodo ebbe la sua prima crisi depressiva, ricoverata e sottoposta alla terapia dell’elettroshock, fece il suo primo tentativo di suicidio.
La storia raccontata in La campana di vetro è ispirata a quel periodo, la protagonista Esther Greenwood, suo alter ego, vive un’esperienza molto simile alla sua.
Dopo un periodo di cura, la giovane e brillante studentessa tornò all’università e si laureò nel 1955. Nel 1956 vinse una borsa di studio per Cambridge dove incontrò il poeta britannico Ted Hughes, che sposò dopo pochi mesi e con cui ebbe una relazione malata, difficile e straziante. La coppia, inizialmente visse negli Stati Uniti, dove lei, per un periodo, insegnò nella sua vecchia università.
A Boston, partecipò a un seminario di scrittura creativa con Robert Lowell che ebbe una grande influenza sulla sua scrittura. Sua collega, amica e rivale era Anne Sexton, altra importante esponente della poesia confessionale, con cui condivise anche il tragico epilogo.
Alla fine del 1959, la coppia soggiornò a Yaddo, famosa colonia per artisti, periodo che segnò con grande intensità la sua produzione e la portò a scrivere molte delle poesie che verranno poi contenute nella sua prima raccolta, The Colossus.
Si trasferirono poi in Inghilterra dove nacque la loro primogenita, Frieda. Nel febbraio 1961 Sylvia Plath subì un aborto spontaneo a seguito di un episodio di violenza fisica da parte di suo marito. Questo drammatico evento compare in varie poesie e in lettere scritte alla sua terapista.
Nell’estate dello stesso anno terminò il suo primo e unico romanzo, La campana di vetro che incontrò vari rifiuti di pubblicazione negli Stati Uniti.
Successivamente, subaffittarono il loro appartamento di Londra a una coppia con cui diventarono amici, David e Assia Wevill, e si stabilirono nelle campagne del Devon. Lì Sylvia Plath provò a portare avanti l’illusione di poter avere una vita perfetta come aveva sempre sognato.
Nel 1962 nacque il loro secondo figlio Nicholas ma, subito dopo, il matrimonio si incrinò definitivamente. Suo marito la tradiva continuamente, aveva una relazione con la loro inquilina che era rimasta incinta di lui. Umiliata e delusa, lo cacciò di casa. Si separarono alla fine di quell’estate.
Seguì un trasferimento a Londra con i figli, periodo fecondo di sue poesie, in cui ebbe grandi difficoltà economiche. Fu un inverno particolarmente rigido, in cui dovette prendersi cura da sola di due bambini piccoli e spesso malati.
Nel gennaio del 1963 La campana di vetro, editato in Gran Bretagna, con lo pseudonimo Victoria Lucas, venne praticamente ignorato dalla critica. Negli Stati Uniti fu pubblicato soltanto nel 1971.
In mezzo a questi problemi, Sylvia Plath ebbe nuovi episodi di forte depressione, l’11 febbraio 1963, dopo soltanto un mese dalla pubblicazione del suo libro, si tolse la vita.
Verso le 4.30 di mattina, sigillò porta e finestre della cucina e mise la testa nel forno a gas, non prima di aver preparato pane, burro e due tazze di latte e aver spalancato la finestra della camera dei suoi bambini. Aveva l’ossessione di essere perfetta, in ogni cosa che faceva, dalla casalinga alla scrittrice, non si sentiva mai abbastanza somigliante all’idea che aveva di se stessa. E progettò anche il suicidio perfetto. Forse non intendeva davvero morire, altre volte aveva tentato di ammazzarsi, ma quella tragica volta, a soli 31 anni, fu quella definitiva.
Aveva iniziato a lavorare a un nuovo romanzo, con il titolo provvisorio di Double Exposure, ritrovato dopo la sua morte, e di cui si ritiene che il marito ne abbia distrutto alcune parti. Ancora una volta un testo autobiografico, con tante similitudini tra i comportamenti libertini e egoisti di suo marito con quello della protagonista del libro.
La sua seconda raccolta di poesie, Ariel, venne pubblicata postuma e alterata da Hughes, nel 1965. Nel 2004 la figlia Frieda diede alle stampe una versione restaurata, Ariel: The Restored Edition, col manoscritto originale.
Cinquanta anni dopo la tragica morte di Sylvia Plath, sono emerse alcune lettere inedite indirizzate alla sua psicanalista che narrano di aggressioni, abusi e minacce di morte da parte del marito.
Sylvia Plath è stata la poeta più importante della sua generazione, e per ironia del fato, lei, che aveva l’ossessione della precisione, questa gloria non l’ha mai vissuta. Tante le sue biografie che si sono succedute nel corso degli anni, osannata dalla critica che l’aveva snobbata in vita, non è sopravvissuta alla consacrazione della sua arte.
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