Susan Unterberg è una straordinaria artista newyorkese che, dal 1996, ha donato milioni di dollari rimanendo anonima.
Per oltre vent’anni, ha sostenuto economicamente centinaia di artiste con più di 40 anni con il progetto “Anonymous Was a Woman”. Per tutta la durata del progetto non si conosceva l’identità della persona che lo aveva fondato e che stava dietro alle sovvenzioni.
Fino al 2018, quando in un’intervista al New York Times, Susan Unterberg si è fatta avanti per denunciare la disuguaglianza di genere nel mondo dell’arte, sottolineando la necessità che le donne sostengano altre donne, sperando di ispirare altri e altre a fare come lei.
“Anonymous Was a Woman” è un riferimento al fatto che molte artiste fin dall’Ottocento abbiano scelto di non firmare il loro lavoro con il proprio nome (o abbiano scelto di usarne uno da uomo) per non essere penalizzate dal proprio genere.
“Anonymous Was a Woman” è anche un riferimento a Virginia Woolf e al suo saggio più conosciuto, Una stanza tutta per sé, sulla subalternità delle donne e sulla difficoltà di essere delle scrittrici in un mondo in cui le cui convenzioni riducevano la donna al ruolo di madre, sorella o figlia.
Il progetto è stato avviato nel 1996, quando il National Endowment for the Arts (un’agenzia federale statunitense che offre supporto e fondi al mondo dell’arte) decise di interrompere il finanziamento agli artisti e alle artiste singole. Susan Unterberg e sua sorella Jill Roberts decisero di utilizzare l’eredità del padre, filantropo e magnate del petrolio, per aiutare le donne.
Anche lei è un’artista: alcune delle sue opere fanno parte delle collezioni di musei molto importanti (il Metropolitan Museum of Art, il Museum of Modern Art e il Jewish Museum).
Ha raccontato che durante la sua carriera ha vissuto in prima persona gli ostacoli che incontrano le artiste, alle quali non viene dedicata la stessa attenzione nelle esposizioni e nelle collezioni dei musei, e che sono trattate in modo differente anche sul mercato.
Le statistiche citate dal National Museum of Women in the Arts dicono che le artiste guadagnano 81 centesimi per ogni dollaro guadagnato dai loro colleghi maschi, che il loro lavoro è rappresentato in percentuali bassissime (che vanno dal 3 al 5) nelle principali collezioni permanenti dei musei negli Stati Uniti e in Europa, e che solo il 27 per cento delle 590 mostre personali organizzate nei maggiori musei americani tra il 2007 e il 2013 erano dedicate ad artiste.
Le donne continuano a essere seriamente sottovalutate. Il loro lavoro non è preso sul serio, e gli uomini stanno ancora dettando le regole del gioco. Gli uomini al potere sostengono gli uomini al potere e vogliono vedere gli uomini al potere.
In 24 anni “Anonymous Was a Woman” ha finanziato economicamente 220 artiste con 5,5 milioni di dollari in totale, suddivisi in borse di studio da 25 mila dollari assegnate a chi ha più di 40 anni ed è nella fase intermedia della propria carriera. La selezione tiene conto dei lavori passati e dei progetti futuri, e viene fatta da un comitato composto da cinque donne, anonime anche loro.
Tra le vincitrici della borsa di studio, nel 2017, c’era anche Amy Sherald, artista afroamericana che realizza opere impegnate politicamente e che è stata scelta per dipingere il ritratto ufficiale dell’ex First Lady Michelle Obama.
È arrivato giusto in tempo, ha detto Sherald, quando ho preso l’assegno, ero in un momento in cui non potevo nemmeno pagare l’affitto.
I vantaggi per le artiste non sono stati solo economici ma anche psicologici: “Anonymous Was a Woman” ha rappresentato per le vincitrici un riconoscimento dei successi passati e ha dato a molte di loro un forte senso di fiducia nella loro capacità.
Susan Unterberg sostiene che questo sia un momento importante per le donne che decidono di parlare della loro condizione, e che in questa fase ha sentito di poter aiutare di più uscendo dall’anonimato. Parlare con la sua voce potrebbe contribuire a vivacizzare il dibattito sul sessismo nell’arte, e stimolare altri filantropi a fare come lei.
Ero un’artista di mezza età, femminista, ho sempre voluto sostenere le donne e questo mi è sembrato il modo perfetto, ha detto.
Ci sono artiste che lavorano con le loro opere, in modo più o meno esplicito, proprio sulla differenza di genere nell’arte, ma dopo la diffusione dei movimenti femministi anche attraverso il #MeToo e Time’s Up la questione ha cominciato a essere discussa pubblicamente anche tra curatori e direttori dei musei.
Helen Molesworth, curatrice del Museum of Contemporary Art di Los Angeles, ha detto di recente che «l’unico modo per favorire la diversità è contribuire a crearla» e che «se fossimo equi, molti meno uomini andrebbero in mostra».
Ha anche inviato una lettera per dare inizio a una sorta di “Time’s Up for Museums” e la National Gallery di Londra è tra le istituzioni che l’hanno ricevuta.
#unadonnalgiorno