Susan Brownell Anthony, suffragista, antischiavista, considerata la madre delle femministe, è colei che ha portato le donne al voto.
Purtroppo non ha vissuto abbastanza per vedere attuare l’emendamento alla Costituzione che porta il suo nome.
Scrittrice, attivista e pioniera dei diritti civili, ha svolto un ruolo cruciale nel movimento per l’emancipazione femminile nel XIX secolo, lottando strenuamente per assicurare il diritto di suffragio alle donne negli Stati Uniti.
Nacque a Adams, Massachusetts, il 15 febbraio 1820, in una numerosa famiglia quacchera, da genitori di mentalità progressista che puntarono molto sulla sua educazione. All’epoca, per le bambine si usavano programmi diversi, molto più scarsi rispetto a quelli dei maschi.
A causa della grave crisi finanziaria del 1837, la famiglia si ritrovò in grandi difficoltà economiche e Susan lasciò la casa per andare a insegnare e contribuire a pagare i debiti di suo padre. Fu anche Preside della sezione femminile di una scuola e in quell’ambito iniziò a lottare per salari equivalenti a quelli degli insegnanti maschi; gli uomini guadagnavano quattro volte più delle donne per le stesse mansioni.
Pur essendo una giovane donna insicura del suo aspetto fisico e delle sue capacità oratorie, l’impegno per la causa femminile le fece vincere egregiamente le paure e la sua resistenza iniziale a parlare in pubblico. Svolse un’intensa attività di propaganda e sensibilizzazione, diventando una delle più importanti leader del movimento delle donne, per 45 anni ha viaggiato senza sosta, tenendo dai 75 ai 100 discorsi all’anno.
Nell’agosto 1848, partecipò alla convenzione dei diritti delle donne e firmò la Dichiarazione dei Sentimenti della convenzione di Rochester.
Abbandonato l’insegnamento, a 29 anni divenne segretaria del gruppo Figlie della Temperanza, per combattere la correlazione tra alcol e violenza domestica, la sua prima importante ribalta pubblica.
Si allontanò dai Quaccheri, che considerava ipocriti e, col passare del tempo, sempre di più dalla religione in generale, attirandosi la condanna di vari gruppi cristiani per i suoi atteggiamenti irreligiosi.
Impegnata per la protezione degli animali, era vegetariana. Assunse anche un ruolo di spicco nel movimento anti-schiavista.
Nel 1851, con Elizabeth Cady Stanton, organizzò la prima società femminile statale per la temperanza negli Stati Uniti, dopo che lo stesso anno, le era stata rifiutata l’ammissione a una precedente convenzione perché era una donna. Insieme attraversarono gli Stati Uniti tenendo discorsi e tentando di persuadere il governo che uomini e donne dovevano essere trattati in modo uguale nella società.
Partecipò alla convenzione di Syracuse, nel 1852, dove ottenne notorietà come potente sostenitrice pubblica dei diritti delle donne e voce attiva per il cambiamento.
Nel 1856, Susan B. Anthony tentò di unificare il movimento per i diritti delle persone afroamericane con quello per i diritti delle donne, unendosi alla Società antischiavista americana di William Lloyd Garrison.
Alla Nona Convenzione dei diritti delle donne, il 21 maggio 1859, chiese:
“Dove, in base alla nostra Dichiarazione d’indipendenza, l’uomo sassone trae il suo potere di privare tutte le donne e i negri dei loro inalienabili diritti?”.
Nel 1869 entrò in conflitto con il suo vecchio amico Frederick Douglass, per la posizione assunta dall’Associazione per gli uguali diritti che votò a favore del Quindicesimo Emendamento alla Costituzione, che concedeva il diritto di voto ai neri ma non alle donne. Da quel momento in poi si dedicò essenzialmente alla lotta a favore dei diritti delle donne.
È stata fondatrice del settimanale The Revolution, nato per promuovere il diritto al suffragio delle donne e degli afroamericani, che si occupava anche di temi sociali come il diritto a un salario equo, leggi più liberali per il divorzio e la posizione della Chiesa sulle questioni femminili.
Sempre con Elizabeth Cady Stanton, ha fondato l’Associazione Nazionale per il Suffragio delle Donne (National Women’s Suffrage Association), di cui è stata vicepresidente e poi presidente. Nonostante i suoi grandi sforzi, non riuscì mai a conquistare il favore delle donne del movimento operaio alla causa suffragista, vista come un interesse del ceto medio.
La sua scelta di perseguire alleanze con i suffragisti moderati e conservatori creò a lungo tensioni anche con la sua socia di sempre. Convinta che un approccio moderato nella causa per i diritti delle donne fosse più realistico e più proficuo, tese a unire il movimento per il voto ogni volta che fu possibile, anche a costo di rinviare altri sforzi collegati ai diritti delle donne, quali la schiavitù religiosa e sociale, cosa che procurò l’allontanamento di Elizabeth Stanton.
Il 15 novembre del 1872 si recò alle urne per votare alle elezioni presidenziali. Per questo suo gesto venne condannata al pagamento di una multa di 100 dollari. Al giudice che la accusava di aver violato la legge rispose: “Sì, vostro onore, ma sono leggi fatte dagli uomini, interpretate da uomini e amministrate da uomini in favore degli uomini e contro le donne. Io non pagherò nemmeno un dollaro per la vostra ingiusta condanna”, e così fece.
Nel 1898, organizzò una raccolta fondi per promuovere l’accesso delle donne all’Università di Rochester, obiettivo che venne raggiunto nel 1900.
In collaborazione con altre femministe pubblicò La storia del suffragio femminile in quattro volumi.
È morta a Rochester il 13 marzo 1906.
Solo nel 1920, 14 anni dopo la sua scomparsa, un emendamento alla Costituzione statunitense, chiamato Anthony in suo onore, ha concesso il voto alle donne.
Nel 1921 le è stata eretta una statua al Campidoglio di Washington. La sua effigie venne riprodotta sulle monete statunitensi, chiamate il “dollaro di Susan B. Anthony“.
Le case in cui è nata e cresciuta sono diventate monumenti e musei.
Grazie alla sua incessante attività, vissuta come una missione talmente grande da travalicare altre importanti istanze, Susan B. Anthony è riuscita a portare le donne alle urne consegnando nelle loro mani un fondamentale diritto civile.
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