Sophia Hayden è stata la prima architetta del continente americano.
Nata il 17 ottobre 1868 a Santiago del Cile da madre cilena e padre americano, a sei anni fu spedita dai nonni paterni a Jamaica Plain, un sobborgo di Boston, per frequentare la scuola. Fu al liceo che iniziò a interessarsi all’architettura.
Contro il parere del padre dentista, che desiderava avviarla allo studio della medicina, si iscrisse a un corso che contava pochissime donne, trattate come eccezioni dai colleghi maschi al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT). Si laureò con menzione speciale un anno prima del termine, nel 1890. Già si era fatta notare durante un concorso interno alla facoltà presentando il progetto di un campanile in stile rinascimentale italiano, che amava molto. Allo stesso stile si ispirò per la sua tesi di laurea, il progetto di un museo d’arte con una copertura vetrata da cui far entrare la luce, una soluzione all’epoca innovativa.
Nonostante i suoi successi accademici, non trovava collocazione nel mondo professionale. La diffidenza verso le professioniste era tale che nessuno studio volle assumerla. Per mantenersi cominciò a insegnare disegno tecnico in una scuola di Boston. In quel periodo lesse un annuncio sul Boston Daily Globe in cui si cercavano architette per la Fiera Colombiana di Chicago del 1893.
I progetti da presentare riguardavano la costruzione del Padiglione Femminile, finanziata e coordinata da una commissione speciale composta da sole donne. Sophia Hayden vinse il progetto e prima di aver compiuto 25 anni si trovò a dirigere un cantiere importante per uno degli eventi di punta del momento. Avrebbe dovuto occuparsi personalmente della direzione dei lavori ma fu costretta a fronteggiare molte difficoltà, le venne fatto ostruzionismo, fino a che le venne sottratto anche il controllo sulle decorazioni interne, affidate a altre artiste. A un certo punto le fu affiancato un uomo, Daniel Burnham e a lei furono riconosciute doti creative e ornamentali più che tecniche, sebbene avesse suggerito soluzioni costruttive ardite che svelavano un’abilità di progettista fuori dal comune.
Per di più, per quel lavoro ebbe un riconoscimento di dieci volte inferiore a quello corrisposto ai colleghi maschi.
Il progetto le valse fama internazionale, in Europa venne fortemente applaudita, ma le critiche che accompagnarono l’intero processo di realizzazione, cercando di relegarla a sola decoratrice e non architetta, non le consentirono di avanzare come avrebbe sperato.
Lo stress e la frustrazione la indussero a abbandonare la strada della progettazione per tornare all’insegnamento.
L’edificio fu smantellato poco dopo, com’era consuetudine per le strutture temporanee, per cui non resta alcuna traccia del suo ingegno.
Nel 1900 sposò l’artista e interior designer William Blackstone Bennett, con cui si trasferì in Massachussets, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 3 febbraio 1953.
Come molte donne dell’epoca aveva due scelte da affrontare, una carriera con tante difficoltà e ostacoli o la vita matrimoniale che le avrebbe agevolato la vita. Dopo aver provato a percorrere la via dell’architettura, vi rinunciò per le troppe pressioni e scelse di fare la moglie. Chissà cosa avrebbe potuto ancora regalare se non avesse desistito.
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