Sihem Bensedrine è una giornalista tunisina che si batte per i diritti civili.
Minacciata, perseguita, incarcerata ingiustamente e poi costretta all’esilio, dal 2014, è a capo della Commissione verità e dignità in Tunisia, incaricata di ascoltare le testimonianze delle vittime di torture e corruzione autorizzate dallo stato tra il 1955 e il 2011.
Fa parte del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino che, nel 2015, ha vinto il Premio Nobel per la pace.
Nata il 28 ottobre 1950 a La Marsa, vicino Tunisi, si è laureata in filosofia all’università di Tolosa, Francia.
Tornata in Tunisia, dal 1979, si è impegnata nel movimento per la libertà di stampa, per i diritti delle donne e umani, aderendo alla Ligue des Droits de l’Homme (LTDH). Nello stesso anno ha contribuito a fondare il Club des femmes Tahar Haddad e partecipato alla rete Femmes Maghreb, animata da Fatima Mernissi.
L’anno successivo, è stata corrispondente per il giornale indipendente Le Phare, ha aderito all‘Associazione dei Giornalisti Tunisini (AJT) e partecipato alla creazione di una commissione femminile in seno all’AJT.
Quando la rivista ha interrotto la pubblicazione, è diventata caporedattrice di Maghreb chiusa nel 1983 a causa delle rivolte per il cibo. Successivamente ha lavorato alla Gazette Touristique e poi fondato l’Hebdo Touristique. Nello stesso periodo, supervisionava il quotidiano di opposizione El Mawkif, vicino al RSP (Rassemblement Socialiste Progressiste).
Nel 1988 ha fondato la casa editrice Arcs.
Nel giugno del 1991, un dossier della LTDH, di cui era direttrice, ha denunciato gli innumerevoli casi di morte per tortura in Tunisia. La reazione del Ministero degli Interni è stata durissima, sono state chieste le sue dimissioni, è stato deciso lo scioglimento immediato dell’organizzazione e nei suoi confronti è stata attuata una dura campagna diffamatoria.
Alla fine del 1998 ha fondato il Conseil National pour les Libertés en Tunisie e poi creato, insieme a un gruppo di intellettuali tunisini e europei, una società di autori euro-mediterranea, le edizioni Aloès. Il 10 aprile del 2000 le autorità hanno chiuso la sede della casa editrice che aveva ospitato un convegno sui diritti umani. Ha subito una dura campagna intimidatoria, la sua casa è stata messa sotto sorveglianza permanente, i suoi amici schedati e le è stato impedito di comunicare con i mezzi informatici.
Successivamente ha co-fondato la rivista online Kalima e il gruppo Observatoire de la Liberté de la Presse, de L’Edition et de la Création (OLPEC), per promuovere la libertà di stampa.
Nel giugno del 2001, è arrestata per aver rilasciato a una rete televisiva londinese un’intervista in cui denunciava l’uso sistematico della tortura e la corruzione nel suo Paese.
Il 10 luglio 2001, mentre era detenuta, ha ricevuto il “Premio speciale per il giornalismo sui diritti umani sotto minaccia” agli Amnesty International UK Media Awards. Il 12 agosto è stata rilasciata grazie a una vasta campagna internazionale in sostegno della sua causa.
Nel 2002 ha ricevuto l’offerta di accoglienza della Fondazione di Amburgo per i perseguitati politici e, dal 2005, la sua permanenza in Germania si è trasformata in esilio.
Nel 2004, ha ricevuto il Premio Internazionale per la Libertà di Stampa dai giornalisti canadesi per la libertà di espressione e nel 2005, è stata premiata con l’Oxfam Novib/PEN Award.
Nel 2008, ha ricevuto il Danish Peace Fund Prize come riconoscimento del suo impegno inflessibile per la democrazia e lo stato di diritto e per i suoi sforzi per organizzare reti tra attivisti per i diritti umani nel mondo arabo.
Nel maggio 2009 l’Unione Internazionale degli Editori le ha assegnato il Premio internazionale della libertà di pubblicazione, insieme ai giornalisti Neziha Rejiba e Mohammed Talbi, che con lei hanno fondato l’Observatoire pour la Défense de la Liberté de la Presse, de l’Édition et de la Création (OLPEC), nato dalle ceneri delle edizioni Aloès. Si tratta dello stesso premio conferito postumo a Anna Politkvoskaja e Hrant Dink, uccisi per il loro impegno per la libertà di stampa.
Nel 2011 ha ricevuto l’Alison Des Forges Award da Human Rights Watch in riconoscimento dei suoi vent’anni di lavoro per denunciare le violazioni dei diritti umani sotto l’ex presidente tunisino Ben Ali. Ha anche vinto l’IPI Free Media Pioneer Award e il Premio Ibn Rushd per la libertà di pensiero per l’anno 2011 a Berlino.
Nel 2015 è stata nel gruppo della Lega tunisina per i diritti umani che ha vinto il Nobel “per il suo contributo determinante nella costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia in seguito alla Rivoluzione dei Gelsomini”.
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