Sarah Kane è stata una controversa drammaturga britannica diventata una figura chiave del cosiddetto in-yer-face theatre, genere sviluppatosi negli anni ’90, che ha portato in scena contenuti scioccanti, spesso di natura sessuale, precedentemente etichettati come volgari dalla critica.
Autrice di cinque testi teatrali dai temi cruenti come stupro, cannibalismo, malattie, ha combattuto per tutta la vita con la depressione, che l’ha portata al suicidio, a soli 28 anni.
È stata paladina di una scrittura teatrale estrema e visionaria, costituita da eccessi scenici e verbali.
Nacque a Brentwood, nell’Essex il 3 febbraio 1971. I genitori erano entrambi giornalisti e devoti evangelisti.
Da subito appassionata di teatro, ha iniziato a dirigere opere di Cechov e Shakespeare in un gruppo locale. Studiava teatro all’Università di Bristol sognando di fare l’attrice. Era molto popolare tra gli studenti, viveva con disinvoltura la propria omosessualità, animando la vita sociale e ludica dell’ateneo.
Successivamente si trasferì all’Università di Birmingham per seguire il corso di drammaturgia di David Edgar. Ma non fu più così spensierata e dissacrante.
La sua prima opera Blasted, traccia parallelismi fra la Gran Bretagna e la Bosnia con contenuti cruenti che destarono grande scalpore. Il testo racconta di Ian, un giornalista di mezza età che sembra dover morire e invita Cate, una ragazzina ritardata nella sua stanza d’albergo per essere confortato nelle sue ultime ore. La violenta e umilia finché fa irruzione un soldato che trasforma il luogo in un campo di battaglia bosniaco, fino allo stupro del soldato sul giornalista e a un finale scandito da defecazioni e cannibalismo.
L’opera, divenuta una vera e propria pietra miliare nel teatro inglese, venne rappresentata per la prima volta al Royal Court Upstairs di Londra nel 1995, suscitando scandalo e polemiche di straordinaria violenza da parte della stampa. In difesa dell’autrice scesero in campo eminenze della drammaturgia come Harold Pinter e Edward Bond.
Nello stesso anno Sarah Kane ha firmato il suo unico video, la sceneggiatura di Skin, tv-movie dedicato al rapporto fra un naziskin e una ragazza nera.
Nel 1996 ha scritto Phaedra’s Love, che ha anche diretto al Gate Theatre di Londra. Una riscrittura moderna del mito di Fedra, derivato non dalla tragedia di Euripide ma da quella, ben più violenta e truce, di Seneca.
Sull’onda del successo di Blasted, Sarah Kane, ha girato l’Europa e, nel 1997, è venuta in Italia, a Sesto Fiorentino, per la prima messa in scena italiana dell’opera, diretta da Barbara Nativi per Laboratorio Nove, nell’ambito del Festival Intercity.
Nello stesso anno il testo è stato pubblicato nel volume collettivo Nuovo teatro inglese.
Nel 1998 è andato in scena Cleansed, che proietta in un campus universitario un vero e proprio campo di concentramento dominato dal dottor Tinker che sevizia e tortura per il proprio piacere.
L’opinione della critica cambiò solo dopo la sua quarta opera, Crave, (Febbre) del 1998, pubblicata con lo pseudonimo di Marie Kelvedon. Qui quattro personaggi, identificati esclusivamente da una lettera (A, B, C, M), intrecciano le proprie storie, ancora una volta di violenze sessuali, identità sconvolte, angosce e solitudini.
Paradossalmente, Sarah Kane, considerava questa la sua opera della disperazione, ritenendo le precedenti come positive: Blasted sulla speranza, Phaedra’s Love sulla fede e Cleansed sull’amore. Si stupiva del fatto che il suo pubblico interpretasse le prime tre come “depressive” e l’ultima come un segno di speranza, mentre per lei era decisamente il contrario.
La sua ultima opera, 4.48 Psychosis, è stata completata poco prima della morte dell’autrice e venne rappresentata un anno dopo il suicidio.
Subito dopo aver terminato la stesura del testo, fu ricoverata in ospedale psichiatrico di Londra a causa di un’overdose di sonniferi, lì si impiccò con i lacci delle sue stesse scarpe. Era il 20 febbraio 1999.
Attraverso le sue opere Sarah Kane ci ha mostrato la sua visione del mondo, della storia e il suo dolore più profondo. Il senso di inadeguatezza che viveva rispetto a un mondo che non le è mai piaciuto e non ha mai amato. La crudeltà della realtà e un malessere che non è riuscita e forse non ha mai voluto sconfiggere.
La scena delle sue opere è stata la rivisitazione delle aberrazioni del XX secolo nonostante avesse esplicitato chiaramente la volontà di non essere sigillata in una unica immagine stereotipata.
Nel 2001 il Royal Court Theatre, che aveva messo in scena quasi tutte le prime dei suoi spettacoli, ha dedicato una stagione intera al suo lavoro.
I suoi testi sono stati tradotti e realizzati in Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna.
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