Rosa Rubino, attivista transgender che dopo una vita complicata, ha trovato la forza per riscattarsi.
Nata a Napoli il 22 febbraio 1957, col nome di Salvatore, si è presto sentita in un corpo in cui non si riconosceva, gravata di obblighi sociali che non condivideva.
Proveniente da una zona molto popolare della città, suo padre non ha mai accettato la sua omosessualità e ha provato, anche con la forza, a contrastarla in ogni modo, a cominciare dalla scelta della scuola superiore, lei voleva fare la segretaria d’azienda e studiare dattilografia e stenografia, lui lo considerava un lavoro da ‘femmine’ e per questo l’aveva indirizzata verso un istituto tecnico ‘maschile’ che lei ha abbandonato subito, non era quello che voleva.
Negli anni Settanta guardava con ammirazione le battaglie femministe da lontano, pensando che mai avrebbero potuto comprendere e supportare le sue istanze, e senza il coraggio di avvicinarvisi, per paura di esserne respinta.
Sono seguiti anni difficili in cui desiderava ardentemente trovare la sua strada e invece le venivano tarpate le ali, finché non è andata via di casa.
Finalmente libera, ha cominciato ad assumere ormoni femminili, all’epoca, non c’era tanta informazione, si andava avanti col passaparola, facendo spesso dei disastri per la salute fisica e mentale. Si prendevano dosaggi senza indicazioni mediche, sperimentando sulla propria pelle. Erano una sorta di pratica casalinga.
Quando Rosa Rubino ha cominciato ad assumere i tratti femminili, per mantenersi e pagare le costose cure, ha iniziato a prostituirsi, era l’unica possibilità di avere entrate economiche. Pensava di farlo per un anno e poi cambiare vita, gli anni sono stati quasi quaranta. Una vita all’incontrario, viveva di notte e dormiva di giorno, ne ha viste e subite di tutti i colori, è grata di essere sopravvissuta e non aver contratto malattie.
Dopo la morte del suo compagno, depressa, isolata e stanca, ha deciso di dare una svolta.
Il primo incontro fondamentale è stata la pratica buddista che le ha dato una forte carica vitale.
Ha cominciato così ad avvicinarsi alle associazioni che tutelano i diritti delle persone lgbt+ ed è stata indirizzata a una cooperativa sociale che ha determinato il suo cambiamento di vita.
Ha trovato la forza e il coraggio di riprendere gli studi, si è diplomata, all’inizio provando a conciliare la vita notturna e quella diurna.
Nel 2017, a 54 anni, è arrivata la proposta di lavoro come front office da Dedalus, la cooperativa sociale che l’aveva seguita e incoraggiata. Il suo primo lavoro ufficiale, ‘serio’ come dice lei. Finalmente coronava il suo sogno, che in fondo era semplice, eppure pareva complicatissimo, fare la segretaria. Dopo un tirocinio, è stata assunta a tempo indeterminato e ne è diventata socia.
Nel 2019 è diventata Rosa anche all’anagrafe, il nome le era stato dato dal suo primo fidanzato e l’ha sempre considerato perfetto per lei.
Molto attiva nella comunità lgbtq, fa sportello d’ascolto per Arcigay e porta avanti dei progetti nelle carceri per supportare le persone gay e trans detenute. Per motivare al cambiamento, racconta la sua storia di riscatto, di come è possibile realizzare ciò che si vuole, se davvero lo si vuole.
Rosa, magra come un giunco, col sorriso dolceamaro, sempre timida e schiva, sensibile e delicata, dopo anni di buio e battaglie, oggi cammina a testa alta nell’impervio cammino della vita quotidiana, grazie alla sua forza ritrovata e alla sua grande spiritualità.
Non è una donna famosa, ma di sicuro è una donna straordinaria e la sua storia merita di essere conosciuta.
#unadonnalgiorno