Rosa Genoni è stata sarta, insegnante, scrittrice, attivista politica e femminista.
È stata una donna capace di abbracciare la modernità. All’alba del XX secolo comprese l’importanza dell’interazione tra arte, scienza e tecnologia. Intuì che questa innovazione avrebbe cambiato il mondo in cui era cresciuta e riuscì a trarne vantaggio traducendola nella creatività che ha contraddistinto tutta la sua vita.
Capì che, come un abito può rivoluzionare la visibilità delle donne nella società, allo stesso modo la moda poteva essere un potente veicolo, capace di modellare e proiettare non solo le identità individuali e collettive, ma anche l’identità di un’intera nazione.
Nacque a Tirano, in provincia di Sondrio, il 16 giugno 1867 da una famiglia di umili origini. Era la primogenita di diciotto fratelli e sorelle. Studiò fino alla terza elementare per poi diventare apprendista sarta, all’età di dieci anni. Desiderosa di migliorarsi, riuscì comunque a prendere la licenza elementare alla scuola serale e successivamente studiò il francese. Avida di conoscenza e dotata di spirito di iniziativa, riuscì a salire passo dopo passo tutti i gradini della professione fino a diventare “maestra”.
Mentre si appropriava del mestiere, Rosa Genoni iniziò a interessarsi di politica. Giovanissima, frequentava i primi circoli socialisti.
Il primo evento documentato della sua vita risale al 1884, quando i dirigenti del Partito Operaio Italiano le proposero di andare a Parigi per partecipare a un convegno internazionale sulle condizioni dei lavoratori.
In tempi in cui la moda era egemonia della sartoria francese, Rosa Genoni riuscì a cogliere le potenzialità del settore in Italia proponendo soluzioni di grande modernità per riorganizzare l’industria dell’abbigliamento. All’epoca, nel nostro paese, da poco unito e non organizzato, venivano riprodotti esclusivamente modelli francesi, fedeli riproduzioni di bozzetti rubati o acquistati a caro prezzo nei più famosi atelier parigini.
Dopo varie esperienze lavorative in Francia, nel 1888 si impiegò nella Sartoria Bellotti a Milano.
Nel 1893 iniziò il suo impegno per migliorare le condizioni delle lavoratrici. Entrò a far parte della Lega Promotrice degli Interessi Femminili per abbracciare poi le posizioni di Anna Kuliscioff, con la quale sostenne le battaglie per l’emancipazione delle donne lavoratrici e per la tutela dei minori.
Nello stesso anno partecipò al Congresso Socialista Internazionale di Zurigo.
Nel 1895 venne assunta da una delle più note case di moda milanesi H. Haardt et Fils con varie filiali tra l’Italia e la Svizzera, dove fu a capo di 200 dipendenti.
Per costruire una moda tutta italiana, Rosa Genoni recuperò le eccellenze tessili nostrane.
I riferimenti artistici a cui attingeva erano l’antichità classica e il Rinascimento, che riadattava con spirito contemporaneo, ritenendo la forma a tunica molto consona alle nuove esigenze di vita delle donne.
Per tutta la vita ha lavorato a stretto contatto con la IFI, Industrie Femminili Italiane, nata nel 1903 per promuovere il lavoro femminile.
Per spingere l’Italia verso una moda libera e autonoma scriveva su giornali, come Vita femminile italiana, e intervenne a eventi come il Congresso Nazionale delle Donne Italiane a Roma del 1908. Aveva intuito che la sartoria era strettamente legata all’emancipazione delle donne. Invitava per questo a trovare un accordo statale che riunisse in un unico circuito lavoratrici e fornitori di materiali.
Nel 1903 divenne madre di Fanny, nata dalla sua unione con Alfredo Podreider, avvocato che sposò soltanto nel 1924, anno della morte della madre di lui, che si opponeva strenuamente alla loro unione.
Ottenne un grande successo con il padiglione presentato all’Esposizione Internazionale di Milano del 1906, dove propose abiti di grande pregio, con materiali unicamente italiani.
Pubblicò il libro Per una moda italiana. La sua influenza portò alla fondazione del Comitato per una Moda di Pura Arte Italiana fondato in Lombardia nel 1909, a cui aderirono importanti imprenditori legati al tessile e all’abbigliamento.
Dal 1911 collaborò con la stampa femminile emancipazionista, scrisse molti articoli per La Difesa delle lavoratrici, giornale fondato da Anna Kuliscioff.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale fu sostenitrice della neutralità promuovendo la pubblicazione del periodico Per la guerra o per la pace?
Dal 1915 al 1922 fu la delegata italiana del Women’s International League for Peace and Freedom.
È stata l’unica delegata italiana alla Conferenza Internazionale delle donne, tenutasi a L’Aia nel 1915, dove lottò per convincere i capi di stato a porre fine al conflitto.
Nel 1925, Rosa Genoni ha pubblicato il manuale Storia della Moda Italiana attraverso i secoli a mezzo dell’immagine. Nel 1928 organizzò un laboratorio di sartoria per le detenute del Carcere di San Vittore sostenuto da suo marito. Seguirono anche un asilo nido e un gabinetto ginecologico, rimasti in funzione grazie alla loro famiglia fino ai bombardamenti del 1943.
Ha insegnato alla scuola professionale femminile della Società Umanitaria di Milano fino al 1931, quando si dimise per non giurare fedeltà al fascismo.
Nel 1932 si trasferì con la famiglia a San Remo, rimase vedova nel 1936.
È stata anche precorritrice delle colture biologiche, si fece coltivare un terreno seguendo la metodica dell’agricoltura biodinamica di Rudolf Steiner.
Nel 1948 scrisse un’appassionata lettera al conte Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU, per la questione palestinese in cui auspicava la pace tra arabi e ebrei.
Negli ultimi anni della sua vita spinse molto per la costruzione di un museo nazionale stabile che potesse conservare gli oggetti delle manifatture italiane.
È morta a Varese il 12 agosto del 1954.
Rosa Genoni è stata una donna importante nella storia del nostro paese, di cui si parla troppo poco. Un’innovatrice che ha guardato oltre l’immaginabile, una pioniera, una visionaria con i piedi ben piantati sulla terra, che ha apportato un enorme contributo all’industria della moda italiana, precorrendo di tanti anni il Made in Italy, alle lotte delle lavoratrici e al legame tra lavoro e emancipazione femminile.
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