Rina Macrelli è stata autrice di saggi, ha lavorato per la televisione, il cinema, è stata tra le principali animatrici del Circolo del Giudizio. Femminista, viene ricordata anche per il suo impegno nel sociale, per i diritti delle donne e delle lesbiche.
Caterina ‘Rina’ Macrelli è nata a Santarcangelo il 2 settembre 1929, in gioventù ha dato vita al sodalizio in seguito noto come “E’ circal de’ giudéizi”. Studentessa presso l’Istituto di Economia e Commercio nella sezione di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, nel 1952 si reca a Parigi con una borsa di studio per svolgere la ricerca della tesi presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Parigi. Tornata in Italia all’inizio del 1954, si laurea in quell’anno con una tesi sui racconti e romanzi di Voltaire.
Dopo la laurea si trasferisce a Roma, comincia a lavorare come insegnante per la scuola interpreti e presto inizia a collaborare col cinema e con la televisione. I suoi primi incarichi sono legati alla necessità di avere un’assistente che fosse anche interprete sul set di film in cui lavoravano addetti di varie nazionalità, in particolare francesi. In questo ruolo lavora con René Clement ne “La diga sul Pacifico” (1957) e con Roger Vadim in “Et mourir de plausi” (1960). Successivamente passa alla traduzione e alla direzione del doppiaggio, come fa per “La Messe sur le monde” (1963) e “Edith Stein” (1963) di Dominique Delouche.
La frequentazione del set la avvicina alla regia: è assistente alla regia di Dominique Delouche in “Béatrice ou la servante folle” (1958) e aiuto regista di Jaqueline Audry in “Le Secret du chevalier d’Éon” (1960).
In seguito la sua attività cinematografica si slega dall’interpretariato e inizia a lavorare sul set di opere televisive.
Nel 1964 inizia la sua collaborazione con Liliana Cavani; dapprima con mansioni minori in opere televisive come “La casa in Italia” (1964), “La donna della Resistenza” (1965), “Gesù mio fratello” (1965) e “Il giorno della pace” (1965); poi segue la regista come suo aiuto nel cinema in “Francesco d’Assisi” (1966) e in “Galileo” (1968). In seguito sarà anche assistente alla regia di Michelangelo Antonioni in “Zabriskie Point” (1970).
Ha lavorato diversi anni per la TV dei ragazzi della Rai. Condotto, con una sensibilità ante litteram per la dimensione lesbotech e cyborg, un programma di divulgazione scientifica in Rai, Mondo d’oggi, tra il 1962 e il 1964.
Ha scritto soggetto e sceneggiatura dei film TV di Silvio Maestranzi “Bernadette Devlin” (1971) e “Il numero 10” (1972), facenti parte del ciclo “Teatro inchiesta”.
Collaborato con Liliana Cavani alla sceneggiatura de “Il caso Liuzzo” (1976). Sono suoi anche il soggetto e la sceneggiatura de “L’olandese scomparso” (1974), ma da questa regia decide di ritirare la firma.
Come scrittrice e saggista si è occupata soprattutto di temi storici, politici e sociologici. Nel 1964 raccoglie assieme ad Alberto Pacifici delle testimonianze dirette dei reduci della seconda guerra mondiale da cui traggono un libro intitolato “Il coro della guerra”, con l’introduzione di Alfonso Gatto.
Collabora col movimento femminista, nel 1981 scrive “L’indegna schiavitù”, su Anna Maria Mozzoni e la sua lotta contro la prostituzione di Stato sul finire del XIX secolo.
Convinta che la letteratura dialettale sia un momento importante del movimento neorealista, nel 1973 organizza il “Seminario popolare su Tonino Guerra e la poesia romagnola”, a cui partecipano studiosi di fama nazionale e internazionale. In quegli anni segue e sostiene Nino Pedretti e Raffaello Baldini che muovono i loro primi passi, scopre la poetessa Giuliana Rocchi, cura la pubblicazione della prima raccolta di Gianni Fucci, e lei stessa scrive in dialetto, traducendo alcuni poeti americani della beat generation e il “Miles Gloriosus” di Plauto.
Per alcuni di questi autori Rina Macrelli è rimasta un importante punto di riferimento di autori e autrici che erano soliti inviarle le bozze dei loro componimenti per avere impressioni e suggerimenti.
Una potenza del pensiero lesbo-femminista nel suo divenire iniziale, faceva sgorgare ovunque la sua intelligenza, fra sorrisi, sguardi e partecipazione emotiva. Parlava di lesbismo come di un orizzonte libero e pieno di novità da scoprire, amava la musica, aveva occhi grandissimi e capelli non governati. Forte e carismatica, simpatica e colta, amava parlare della storia lesbica.
Nel saggio Vacca d’Israele, esplora dei sonetti veneziani satirici tra fine Settecento e inizio Ottocento, cercando di capire quali fossero i nomi e le vite lesbiche reali in essi impaniate, per liberarle e destinarle a una conoscenza biografica e storica. In un altro, dal titolo Giovanna d’Arco e “cose del genere”, c’è un brillante punto di vista, anticipatorio di quella che oggi decliniamo come “identità di genere”, e, allora come ora, l’interlocuzione è con una certa declinazione del femminismo della differenza.
Nel 2019, in occasione dei suoi 90 anni, le è stata dedicata la quarta edizione della rassegna “Votes for women! Santarcangelo per le donne”.
Si è spenta il 7 novembre 2020.
#unadonnalgiorno