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Renata Viganò

Renata Viganò

Renata Viganò scrittrice, poeta e partigiana italiana, passata alla storia per il libro L’Agnese va a morire, romanzo neorealistico tra i più intensi della narrativa ispirata alla Resistenza.

Il suo è uno stile antiletterario, dalla cifra antieroica, mai retorico, asciutto ed efficace che ritrova il paesaggio e l’azione umana segnata dalla violenza della guerra come una lingua nuova.

Nata a Bologna il 17 giugno 1900, sin da piccola, amava scrivere e sognava di studiare medicina.

A tredici anni ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Ginestra in fiore, seguita da Piccola Fiamma, del 1916.

Durante l’adolescenza, però, ha dovuto ben presto fare i conti con la realtà, la sua famiglia era andata in rovina, costringendola a crescere all’improvviso. Interrotto il liceo ha cominciato a lavorare come inserviente e poi infermiera.

L’incontro col marito, Antonio Meluschi, poeta e partigiano, ha avuto una grande importante sulla sua maturazione politica.

Impegnata concretamente al servizio delle persone bisognose, ha continuato a scrivere poesie e racconti e per quotidiani e periodici, fino all’8 settembre 1943 quando, con la firma dell’armistizio, la sua vita ha avuto una svolta esistenziale: assieme al marito ha partecipato alla lotta partigiana col nome di Contessa, prima in Romagna e poi nelle valli di Comacchio, tenendo con sé il figlio Agostino, di soli sette anni. Faceva la staffetta, curava le persone ferite e collaborava con la stampa clandestina, a quel periodo risalgono gli scritti Le donne e i tedeschiLe donne e i fascistiLe donne e i partigiani, pubblicati su La Comune nel 1944.

Di questo periodo disagiato, ma intriso di sano idealismo esistenziale, è stata pervasa la sua successiva produzione letteraria.

L’Agnese va a morire, del 1949, tradotto in quattordici lingue che ha vinto il Premio Viareggio, ha rappresentato il punto più alto della sua opera, nel 1976 ne è stato tratto l’omonimo film diretto da Giuliano Montaldo.

Il romanzo racconta vicende partigiane con onesta semplicità da cronista e spirito di sincera adesione agli eventi.

La protagonista è una donna che aderisce alla causa antifascista dopo l’uccisione della sua gatta da parte dei nazisti, l’animale rappresentava il legame con il marito ucciso dai tedeschi. Dopo quel brutto episodio, si unisce ai partigiani e diventa il simbolo di un mondo umile offeso, che reagisce alla violenza come può, con una forza interiore che è qualcosa di ancor più primordiale di una coscienza politica. Tra i partigiani si muove per un istinto naturale, umano, di giustizia, come una necessità, senza costruzioni ideologiche o intellettuali. Il personaggio, molto simile alla scrittrice, era in realtà la memoria di una vera partigiana conosciuta durante la Resistenza.

La condizione delle donne ha permeato tutta la sua opera.

Nel 1952 ha pubblicato Mondine, la sintesi di un’inchiesta svolta durante la campagna di monda in Lomellina.

Nel 1955 ha visto la luce Donne della Resistenza, ventotto ritratti di antifasciste bolognesi cadute per salvare il nostro paese.

Ha collaborato con il Pioniere tra il 1960 e il 1962 pubblicando i racconti La Bambola brutta, La bambina negra e La Fuga.

Del 1962 è il romanzo, Una storia di ragazze, che narra le vicende dolorose di giovani di diversa provenienza sociale, tutte sottomesse al mondo maschile.

Il suo ultimo lavoro è stato Matrimonio in brigata del 1976, una raccolta di racconti partigiani.

Due mesi prima della morte, avvenuta a Bologna il  23 aprile 1976, le è stato assegnato il premio giornalistico Bolognese del mese, per il suo stretto rapporto con la realtà popolare della città.

#unadonnalgiorno

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