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Rebecca Horn

Rebecca Horn

Rebecca Horn è stata la poliedrica artista tedesca esponente della scena femminista legata alla body art dagli Anni Sessanta.

Ha esplorato i confini dello spazio attraverso estensioni corporali costituite da lunghe protesi e sculture, i cui movimenti e interazioni ricreano desiderio e relazioni di potere.

La sua ricerca ha spaziato dal disegno, alla scultura, dalla performance al cinema.

Ha svincolato il suo corpo di donna dalle classiche etichette per trasformarlo in strumento di indagine.

Nata il 24 marzo 1944 a Michelstadt, ha preferito, sin da bambina, il linguaggio del disegno, che considerava molto più libero di quello orale. 

I genitori avrebbero voluto che studiasse economia, ma a 19 anni aveva deciso di frequentare l’Accademia di Belle Arti di Amburgo. Ha sofferto di un grave problema ai polmoni che l’ha vista ricoverata per lungo tempo in cui si è sentita isolata dal mondo e concentrata sulla caducità del corpo.

Nel 1970 ha studiato alla St. Martin’s School of Art di Londra prima di trasferirsi a New York.

Ha iniziato a esprimersi applicando al suo corpo strutture in legno, metallo e tessuto, come ali di tela, guanti dalle lunghe dita seducenti, una maschera ricoperta di matite e un imponente corno di unicorno.

Successivamente, ha alternato le protesi per il corpo a sculture cinetiche e installazioni, figure cyborg concepite per mettere in discussione il primato o la purezza della forma umana.

Invitata a partecipare a documenta 5 nel 1972, a soli ventotto anni, nel 1989 è stata la prima donna a ricevere il Carnegie Prize e ad essere designata al prestigioso Trägerin des Kaiserrings di Goslar, nel 1992.

Anche i suoi primi cortometraggi, di matrice autobiografica, avevano il corpo come soggetto. Ricostruendo il periodo della sua malattia, guardava alla guarigione con desiderio e ossessione, corna, piume e ali trasformavano il corpo in una sorta di Fenice che si autorigenerava.

Pellicole dalle narrazioni surreali e tragicomiche, ambientate in spazi ristretti o isolati, con scenari al limite del verosimile, pieni di elementi di distorsione. Un cinema dove la storia è stata il pretesto per un’indagine del corpo di carattere filosofico, che indagava il posto dell’individuo nell’universo.

In un depistaggio continuo, si palesano i suoi tre lungometraggi di fiction: Die Eintäzer (1978), La Ferdinanda (1981) e Buster’s Bedroom (1990) che ha visto protagonisti Donald Sutherland e Geraldine Chaplin, in cui accosta il proprio immaginario visivo a trame intricate e simboliche, con un costante riferimento a personaggi iconici come il musicista, l’attrice, la ballerina, l’infermiera, di cui ognuno è un prototipo psicologico o fantastico.

Continuando a utilizzare piume, negli anni ottanta e novanta, si è concentrata sulla creazione di occhiali da sole. Molte delle opere piumate avvolgono la figura come un bozzolo, oppure sono maschere e ventagli ideati per coprire o imprigionare il corpo.
Nel 1993 il Guggenheim di New York le ha dedicato una importante retrospettiva, la prima delle tante con cui diversi musei del mondo l’hanno omaggiata.

Tra il 2002 e il 2003, a Napoli, nella Piazza del Plebiscito, ha realizzato Spiriti di Madreperla, imponente opera costituita da 333 teschi fusi in ghisa e piantati nel selciato, ispirata dal suggestivo Cimitero delle Fontanelle, caratterizzato da un celebre ossario in cui per tradizione e devozione c’era l’abitudine di adottare dei teschi e prendersene cura. Sulla piazza erano inoltre sospesi 77 cerchi al neon, una sorta di aureole, in contrasto con i teschi.

Insignita per due volte della Gran Croce al Merito dell’Ordine di Germania, del Premio Imperiale in Giappone e della Medaglia per le Scienze e le Arti in Austria, nel 2004 è stata insignita del Barnett and Annalee Newman Award di New York e del Piepenbrock Preis fur Skulptur di Berlino nel 2006.

Nel giugno 2017 ha ricevuto il prestigioso Wilhelm Lehmbruck Prize in riconoscimento del suo lavoro e della sua poetica che hanno profondamente influenzato la scultura nel ventesimo e ventunesimo secolo. 

Si è spenta a Bad König, il 6 settembre 2024, lasciando in eredità sculture, installazioni e cortometraggi che, esplorando il significato delle relazioni umane con un’attenzione incessante alla natura e all’energia che collega gli esseri viventi e il cosmo, sono capaci di riflettere sulle urgenze del presente.

 

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