Monika Ertl la donna che ha vendicato Che Guevara sparando al suo assassino, Roberto Quintanilla.
La famiglia arrivò in Bolivia nel 1952 e entrò a far parte della società tedesca di La Paz, quasi interamente composta da membri della Gestapo e delle SS. Tra questi c’era anche Klaus Barbie, criminale di guerra, definito il ‘macellaio di Lione’ durante l’occupazione della città francese; che, sotto il falso nome di Altmann, aveva il ruolo di leader della neonata comunità di «reduci» tedeschi. Monika crebbe in un ambiente in cui razzismo e antisemitismo erano alla base di una società che esaltava i valori del periodo più buio dell’umanità.
Figlia prediletta di Hans, come suo padre amava la fotografia, le armi da fuoco, il cinema e la politica. Sposò con un rappresentante dell’alta borghesia tedesca ma, dopo dieci anni, il matrimonio fallì. Iniziò allora ad appassionarsi alle gesta rivoluzionarie del Comandante Ernesto Guevara che, dopo la vittoriosa campagna di Cuba, stava diventando l’idolo delle masse social-comuniste.
La figura del Che divenne per lei una fonte d’ispirazione, quasi un profeta, a tal punto che, quando nell’ottobre del 1967 Monika Ertl vide le immagini della morte del suo idolo, decise di dedicare la sua vita alla Rivoluzione.
Ruppe con la famiglia e entrò nella milizia con la Guerriglia dell’ELN (Esercito di Liberazione Boliviano), come aveva fatto il suo eroe in vita, per combattere la disuguaglianza sociale.
Lì conobbe Inti Peredo, leader comunista, delfino di Che Guevara e se ne innamorò perdutamente. Cancellato il suo nome tedesco e la sua discendenza, divenne Imilla la Rivoluzionaria.
L’uomo, nel 1969, finì vittima di un’imboscata, venne torturato, fino alla morte, da quello stesso uomo che c’era nelle fotografie della morte del Che, Roberto Quintanilla, che di nuovo si era fatto fotografare accanto alla sua vittima.
Quintanilla era stato promosso e, lasciata la carica di ufficiale dei Servizi Segreti, stava iniziando la carriera diplomatica. Il Governo boliviano gli diede il primo incarico alla sede dell’ambasciata di Amburgo, in Germania. Il piano di Imilla e dei rivoluzionari boliviani era estremamente difficile da realizzare e ci vollero quasi due anni per organizzare, attraverso le reti dell’ultrasinistra internazionale, tutto ciò che serviva alla donna per arrivare, armata, davanti al suo obiettivo.
Nel marzo del 1971, Monika Ertl s’imbarcò per l’Europa sotto falso nome, fingendosi una turista australiana, giunse a Amburgo all’inizio di marzo. Arrivata in Germania, entrò in contatto con uno degli intermediari dell’internazionalismo comunista che le consegnò una pistola Colt “Cobra” 38 Special.
Fingendosi una turista interessata a visitare la Bolivia con la necessità di vedere il console boliviano per il visto sul passaporto, riuscì a ottenere l’appuntamento con Quintanilla il primo aprile. Pur essendo molto attento a chi incontrava, l’uomo, colpito dalla sua bellezza, restò solo con lei nella stanza per tentare di sedurla, ma Monika, guardandolo negli occhi, estrasse la pistola e esplose tre colpi formando una “V” e lo ammazzò. Nella fuga, lasciò dietro di sé la parrucca che indossava, la sua borsetta, la pistola e un pezzo di carta dove si leggeva:
Vittoria o morte. ELN.
L’arma, presa a Milano 3 anni prima, era stata procurata da Giangiacomo Feltrinelli che per questo omicidio ricevette un mandato di cattura internazionale. Intanto, però, era già passato in clandestinità, nei Gap, una delle prime bande armate della guerriglia italiana. Sarà rivisto solo un anno dopo quando venne trovato il suo corpo senza vita sotto un traliccio.
Monika Ertl iniziò una fuga rocambolesca che, dopo diversi mesi, la fece tornare dai suoi compagni di lotta in Bolivia. Il governo boliviano mise una taglia di oltre 20 mila dollari sulla sua testa (solo tre anni prima, per il Comandante Che Guevara la taglia era di appena 4200 dollari). Tra i vari cacciatori di taglie che si misero sulle sue tracce c’era anche una sua vecchia conoscenza: Klaus Barbie, criminale nazista che da piccola chiamava affettuosamente “zio” che nel 1973, riuscì a sorprenderla mentre riposava in un nascondiglio della guerriglia boliviana. Non si sa praticamente nulla di ciò che accadde quella notte, di cosa la donna abbia dovuto subire, di dove sia finito il suo corpo.
Invano suo padre Hans chiese personalmente a Barbie di avere indietro la salma per dargli una sepoltura dignitosa. Gliela negarono, forse per non mostrare che era stata torturata prima dell’uccisione. Monika rimase una combattente senza tomba, caduta nella giungla.
La sinistra tutta. Quella rivoluzionaria, quella che ha governato nei paesi a socialismo applicato. Da Cuba all’Urss sembra quasi aver voluto seppellire la sua storia. Non le furono mai intitolati una scuola, un monumento e nemmeno un manifesto.
Monika Ertl è stata ricordata solo da suo padre che, dopo la morte di quella figlia che tanto amava, decise di dedicare la sua vita aiutando la sinistra internazionale e rendendo la casa di La Paz un museo alla sua memoria. Hans Ertl è morto nel 2000 e, per sua volontà, è stato sepolto nella casa museo, forse come ultimo atto d’amore di un padre che non ha mai accettato di aver perso sua figlia.