Mónica de Miranda è un’artista, filmmaker e ricercatrice portoghese di origini angolane che vive tra Lisbona e Luanda.
Lavora su temi di archeologia urbana e geografie affettive usando linguaggi come fotografia, disegno, installazioni e video che si pongono nel confine tra finzione e documentario.
Le sue storie sono principalmente legate alla diaspora africana e alle politiche post-coloniali.
Attraversa i confini, delineando un paesaggio di identità plurali, ispirato dalla sua itinerante esperienza culturale.
Ha esposto in biennali d’arte di mezzo mondo, in numerose personali e collettive, ed è presente nelle collezioni permanenti di diversi musei e gallerie internazionali.
Nata a Porto nel 1976, ha vissuto per diversi anni a Londra, dove ha collaborato col Goldsmiths College, l’Institute of International Visual Arts e la Tate Britain. Ha lavorato con adolescenti svantaggiati nelle scuole di periferia.
Laureata in Arti visive presso il Camberwell College of Arts di Londra, ha conseguito un dottorato di ricerca in Arti visive e Multimedia all’Università del Middlesex.
Attualmente è ricercatrice al Centro de Estudos Comparatistas dell’Università di Lisbona, impegnata in progetti che si occupano di aspetti socioculturali e politici dei movimenti migratori contemporanei legati all’Africa lusofona.
Co-fondatrice di Xerem, organizzazione che gestisce un programma di residenze artistiche e workshop internazionali, ha fondato e dirige il Progetto Hangar presso il Centro di Ricerca Artistica di Lisbona.
Il suo lavoro guarda alla convergenza di politica, genere, memoria e spazio.
Nel 2019, la sua mostra Geografia Dormente è stata nominata come la Migliore Opera Fotografica dalla Sociedade Portuguesa de Autores.
L’opera di Mónica De Miranda è stata spesso oggetto di studio accademico per i profondi riferimenti sociopolitici che si trovano nei suoi film, l’estetica della frammentazione, del movimento e del raddoppio nelle installazioni fotografiche e la sua enorme influenza sulla video arte portoghese contemporanea.
Fondendo realtà e finzione, intreccia racconti e storie personali, movimenti di liberazione africani, esperienze migratorie e percorsi d’identità, attraverso la sua lente di femminista nera.
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