Ci sono tre cose per le quali sono venuta al mondo e ci sono tre cose che avrò nel cuore fino al giorno della mia morte: la speranza, la determinazione e il canto.
Miriam Makeba è stata il volto musicale della battaglia contro l’Apartheid.
Nata il 4 marzo 1932 in un sobborgo di Johannesburg, è morta il 9 novembre 2008 a Castel Volturno, in provincia di Caserta, per una crisi cardiaca alla fine di un concerto contro la camorra e il razzismo e in ricordo di sei immigrati africani uccisi due mesi prima, proprio in quella terra.
Quando aveva diciotto giorni, sua madre fu arrestata e condannata a sei mesi di prigione per la vendita di umqombothi, birra artigianale illegalmente prodotta con malto e farina di mais. La famiglia non poteva permettersi la piccola multa necessaria per evitare una pena detentiva e Miriam ha trascorso i primi sei mesi della sua vita in prigione. Da bambina, ha cantato nel coro della scuola elementare metodista nera che ha frequentato per otto anni. Il suo talento canoro le valse le prime lodi. Ha iniziato cantando nei cori delle chiese, in inglese, xhosa, sotho e zulu; in seguito dirà di aver imparato a cantare in inglese prima di poter parlare la lingua. Costretta a lavorare sin da bambina dopo la morte del padre, si sposò per la prima volta a 17 anni.
Iniziò a cantare professionalmente negli anni ’50 unendosi a diversi gruppi.
Già nota come cantante di musica a metà tra il jazz e la tradizione, la sua fama internazionale iniziò nel 1959, quando la sua presenza in un documentario sull’apartheid Come Back, Africa che andò anche al Festival del Cinema di Venezia. Durante un tour negli Stati Uniti si consolidò la sua immagine di simbolo del popolo oppresso in Sud Africa, che le procurò poi il soprannome di Mama Africa, e per questo motivo il governo di Pretoria ne decise l’esilio.
Visitò il Kenya nel 1962 per sostenerne l’indipendenza dal dominio coloniale britannico e raccolse fondi per il leader indipendentista Jomo Kenyatta. Nello stesso anno ha testimoniato davanti al Comitato speciale delle Nazioni Unite contro l’apartheid sugli effetti del sistema, chiedendo sanzioni economiche contro il Partito Nazionale chiedendo un embargo sulle armi al Sud Africa, che sarebbero state con ogni probabilità usate contro donne e bambini. Come conseguenza, la sua musica venne bandita in Sud Africa, e la sua cittadinanza e il diritto al ritorno furono revocati. Miriam Makeba divenne così apolide, ma presto le furono rilasciati passaporti da Algeria, Guinea, Belgio e Ghana. Nella sua vita, aveva nove passaporti e le fu concessa la cittadinanza onoraria in dieci paesi.
Per il suo attivismo politico contro il regime di apartheid in Sudafrica – la separazione e discriminazione razzista nei confronti dei neri da parte della minoranza bianca – le fu impedito nel 1969 di rientrare nel paese, vi fece ritorno soltanto nel 1990. In quei vent’anni fu popolare e attiva in tutto il mondo, per la sua musica e per il suo impegno politico.
Quando non poté tornare in Sudafrica andò a Londra e negli Stati Uniti, dove fu molto promossa dal cantante Harry Belafonte e iniziò la sua vera carriera internazionale, con concerti e dischi. Con Belafonte cantò tra l’altro alla festa di compleanno di John Kennedy del 1962.
L’album An Evening with Belafonte/Makeba, vinse nel ’66 un Grammy per la migliore incisione folk. Il disco trattava esplicitamente temi politici legati alle diseguaglianze e le ingiustizie sociali subite dai neri sudafricani sotto il regime di Apartheid.
La sua popolarità internazionale si deve soprattutto al grande successo della canzone “Pata pata”, pubblicata nel 1957 che arrivò al dodicesimo posto delle classifiche americane soltanto dieci anni dopo.
Negli Stati Uniti si unì alle lotte delle Black Panther per i diritti civili dei neri e sposò, in seconde nozze, l’attivista Stokely Carmichael. Anche in terra americana non ebbe vita facile: insieme al marito finì nel mirino dell’FBI, i suoi concerti e progetti di dischi furono cancellati. I coniugi si trasferirono in Guinea, dove vissero per 15 anni.
In questi anni incise alcuni dei suoi più grandi successi come Pata Pata, The Click Song e Malaika. Numerose furono anche le collaborazioni con musicisti americani.
La cantante ha sempre sempre avanti il proprio attivismo, dedicandosi, in particolare, anche alla condizione delle donne in Africa. Vinse il Premio Dag Hammarskjöld per la Pace nel 1986.
Nel ’90, finalmente, Mama Africa poté tornare nella propria terra e seguire da vicino le ultime battaglie che portarono alla sconfitta del regime di Apartheid, al fianco dell’amico di una vita Nelson Mandela, conosciuto ai tempi della fondazione dell’African National Congress nei primi anni’50. Nel 1991 ha registrato un album con Nina Simone e Dizzy Gillespie. Nel ’92 prese parte al film Serafina! Il Profumo della Libertà, sulle sommosse di Soweto del ’76. Le stesse rivolte che aveva cantato nel brano Soweto Blues, scritto per lei da Hugh Masekela. Nel 2002 partecipò ad un altro documentario sull’Apartheid: Amandla! A Revolution in Four-Part Harmony.
È stata nominata Ambasciatrice di buona volontà dalla FAO, ha ricevuto la Medaglia Otto Hahn per la Pace e ha vinto il Polar Music Prize.
Miriam Makeba ha usato la sua musica come arma per combattere l’Apartheid e i suoi canti di dolore e di denuncia, ma anche di speranza e di gioia, sono stati i ripetuti colpi inferti a un regime di oppressione di un intero popolo.
Prima musicista africana a ricevere riconoscimenti mondiali, ha portato la musica africana a un pubblico occidentale rendendo popolare la world music e il genere Afropop. Le sue popolari canzoni contro l’apartheid l’hanno fatta diventare simbolo dell’opposizione al sistema.
Una vita spesa a prestare la sua voce, calda e melodiosa agli ultimi e le ultime, a coloro che una voce non ce l’hanno.
#unadonnalgiorno