Ho preso in mano il testimone di mio marito Piergiorgio con la semplicità che ha caratterizzato la nostra esistenza. Entrambi abituati, dalla vita, a dover fare rinunce e a lottare per la salute, per essere felici. Insieme abbiamo “rubato” minuti al tempo e costruito due vite di resilienza, ciascuna in aiuto dell’altra, ambedue felici. Ce lo siamo confessati poche ore prima che Piero morisse. Per me lui non è morto. È diventato la mia forza. Non potevo essere in lutto. Lui ha lottato per darsi davvero agli altri con la sua disobbedienza civile contro la sentenza del giudice civile, secondo cui non avrebbe potuto rifiutare la respirazione artificiale, diventata non solo inutile, ma anche dolorosa e insopportabile. Era per me un immenso dolore, ma era mio dovere di coscienza collaborare e prendere il suo testimone.
Il nome di Mina Welby è legato al tema dell’Eutanasia in Italia e al caso di Piergiorgio Welby, suo marito, il primo uomo in Italia che è riuscito, dopo tante battaglie e ricorsi, a ottenere di essere staccato dal proprio respiratore, il 20 dicembre 2006.
Il caso ha creato un precedente importante anche per arrivare alla legge sul testamento biologico, a cui ancora oggi Mina Welby lavora da attivista con l’Associazione Luca Coscioni di cui è co-presidente.
Wilhelmine Schett, per tutti Mina, è nata a San Candido in provincia di Bolzano, il 31 maggio 1937. Entrata in convento a 21 anni è stata una suora francescana insegnante, per vent’anni. Alle lezioni di catechismo spiegava la creazione del mondo secondo la teoria di Darwin, poi ha capito che la vita da religiosa in convento era troppo comoda e ha scelto di uscire dalla comunità.
Per anni gli ha iniettato sei fiale di metadone al giorno fino a che ha deciso di curarlo da sola e, dopo cinque anni, è riuscita a tirarlo fuori dalla sua grave dipendenza.
Hanno vissuto anni felici, lui faceva il fotografo, dipingeva, faceva mostre, aveva un blog, ma con l’aggravarsi della malattia ha perso l’uso delle braccia, della voce, è stato tracheotomizzato e costretto a letto per dieci anni e chiedeva soltanto di morire. Ci è riuscito soltanto nel 2006.
Dopo la morte del marito, impegnato da 25 anni anni per ottenere il riconoscimento legale del diritto all’eutanasia e il rifiuto dell’accanimento terapeutico, Mina Welby ha proseguito il suo impegno e continua a testimoniare nei dibattiti pubblici l’importanza di temi come l’autodeterminazione della persona, le scelte di vita e fine vita, la rilevanza di un’assistenza adeguata alla persona malata e la vita indipendente della persona con disabilità.
Nel 2015 ha fondato l’associazione Sos-Eutanasia con Gustavo Fraticelli e Marco Cappato. Con quest’ultimo, due anni dopo, ha compiuto una disobbedienza civile accompagnando in Svizzera Davide Trentini, affetto da sclerosi multipla, per permettergli di ottenere il suicidio assistito.
A seguito di un’autodenuncia, Marco Cappato e Mina Welby sono finiti a processo alla Corte d’assise di Massa con l’accusa di istigazione e aiuto al suicidio, punibile con una pena dai 5 ai 12 anni, sono stati assolti definitivamente dalla Corte d’Appello di Genova.
Dopo la pronuncia dei giudici, ha affermato di voler continuare la disobbedienza civile fino a quando il Parlamento non approverà una legge che tuteli e disciplini il fine vita in Italia.
Abbiamo bisogno di una buona e efficace regolamentazione sulle cure e i trattamenti sanitari. Vorrei che le cure palliative fossero applicate di più e meglio. Auspico i corsi obbligatori nelle facoltà di medicina per tutti i professionisti sanitari. Il mio metodo è quello di mettermi nei panni di chi chiede. Sono felice di avere intorno a me, in Associazione Luca Coscioni, professionisti come avvocati, medici e psichiatri che aiutano, in campi in cui io non ho competenze. Le informazioni che riguardano i diritti alla salute e le cure sono importanti per tutti i cittadini.
Con il giornalista Pino Giannini ha pubblicato il libro L’ultimo gesto d’amore, con prefazione di Emma Bonino e postfazione di Beppino Englaro.
Mina Welby è stata inserita dalla Federazione Mondiale delle Associazioni per il Diritto di Morire (che raggruppa 58 realtà diffuse in 30 Paesi) nella Mappa dei Campioni, l’elenco delle persone che in tutto il mondo si battono per il diritto di morire con dignità.
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