Mia Martini è stata una meravigliosa e intensa cantante, di un’eleganza innata, un temperamento drammatico, una voce potente e graffiante, quasi dolorosa.
Un’interprete che ha saputo sempre conciliare la qualità con le esigenze del mercato.
Avrebbe meritato molto di più, ma la grettezza di tanta gente le ha segnato un destino infame che l’ha spinta in un baratro esistenziale e in una solitudine straziante.
Domenica Rita Adriana Bertè, in arte Mia Martini, nasce il 20 settembre 1947. Lo stesso giorno della sorella Loredana, più piccola di tre anni.
Chiamata da sempre Mimì, si trasferisce a Roma con la madre e le sorelle nei primi anni ’60 del secolo scorso. In gioventù forma un trio indissolubile con sua sorella Loredana e Renato Fiacchini (che diventerà Renato Zero). Comincia a guadagnarsi da vivere con un modesto impiego presso il sindacato dei cantanti e dei cantautori.
La sua carriera discografica inizia nel 1962 quando, quindicenne e con il nome di Mimì Bertè, incide il singolo I miei baci non li puoi scordare.
Negli Anni ’70, cominciano i primi successi con Piccolo Uomo e Minuetto che le fanno vincere due volte il Festivalbar, nel 1972 e 1973.
L’anno prima aveva cambiato nome in Mia Martini e con il brano Padre davvero, censurato dalla Rai, aveva vinto il primo Festival d’Avanguardia di Viareggio.
Da allora, fino alla fine del decennio, la sua carriera è costellata di successi. Interpreta canzoni firmate dai più grandi cantautori e ottime versioni italiane di brani di John Lennon, Elton John e i Queen.
Nel 1974, la critica europea la premia come cantante dell’anno.
Inizia una triennale collaborazione con Charles Aznavour suggellata, nel 1977, da un concerto all’Opéra di Parigi.
Seguono però anni difficili perché viene assurdamente emarginata dall’ambiente musicale, nasce la diceria che porti sfortuna.
Ci pensa lei stessa a spiegare in una intervista a Epoca nel 1989, cosa era accaduto: “Tutto è cominciato nel 1970, cominciavo ad avere i miei primi successi. Un impresario mi propose un’esclusiva a vita. Era un tipo assolutamente inaffidabile e rifiutai. E dopo qualche giorno, di ritorno da un concerto in Sicilia, il pulmino su cui viaggiavo con il mio gruppo fu coinvolto in un incidente. Due ragazzi persero la vita e quell’impresario ne approfittò subito per appiccicarmi l’etichetta di porta jella”.
Negli anni ’80 arriva E non finisce mica il cielo, il brano scritto per lei da Ivano Fossati, forse l’unico grande amore della sua vita, che non vince Sanremo nel 1982 ma conquista il Premio della Critica, nato appositamente per lei.
Purtroppo sono ancora tante nubi sulla sua carriera a causa della famosa diceria. Mia Martini abbandona il mondo della musica e si trasferisce in Umbria e poi di nuovo a Bagnara Calabra. Per anni, vive ai margini del mondo musicale.
Per un lungo periodo nessuno le ha dato l’occasione di tornare a occupare il posto da protagonista che meritava. Una vicenda atroce che ha inciso profondamente sulla sua personalità fragile e facile alla depressione.
Nel 1989, le viene proposto di tornare a Sanremo per rilanciare la sua carriera. Il suo amico di sempre, Renato Zero ha fatto da garante per lei. Ha dichiarato di aver firmato un documento in cui si assumeva ogni responsabilità su tutto ciò che di spiacevole sarebbe potuto accadere durante l’esibizione di Mia Martini all’Ariston. Questa dichiarazione è stata smentita dall’allora patron del festival, Adriano Aragozzini, ma, forse, la verità non si saprà mai.
È stato, comunque, un grande ritorno tra scroscianti applausi.
La sua voce roca e grintosa torna di moda, e lei, discreta compositrice e grande interprete, torna a essere contesa da autori vecchi e giovani.
Commuove il grande pubblico con una Almeno tu nell’universo, canzone che era rimasta nel cassetto per 20 anni.
Torna a Sanremo, nel 1990, con La nevicata del 56 di Franco Califano e nel 1992 arriva seconda con Gli uomini non cambiano. L’anno dopo duetta con Loredana Bertè in Stiamo come stiamo. Un atto d’amore e di riconciliazione dopo una lunga rottura e tante incomprensioni.
La gente la ama, continua a cantare e a esibirsi, ma il 12 maggio del 1995 viene trovata morta nella sua casa a Cardano al Campo (vicino Busto Arsizio). Era morta da due giorni e nessuno se n’era accorto.
È stata trovata sul suo letto con le cuffie nelle orecchie, mentre ascoltava Luna Rossa, che avrebbe dovuto interpretare al Festival di Napoli.
Morta per arresto cardiocircolatorio, c’è chi ha sostenuto che sia stato un suicidio, chi un’overdose.
In una delle ultime interviste rilasciate, si è messa a nudo con disarmante sincerità.
Sono una che vuole la verità, che odia il romanticismo, non sono sentimentale, detesto tutto ciò che è finto a parte la tv che mi diverte. Sono Mimì, sono di Bagnara Calabra, abbiamo un sole noi che ci fa le radiografie appena nati. Gli odori, i colori della natura nella mia terra sono forti e violenti anche nell’animo umano. Odio essere un idolo, che male ho fatto per essere un idolo? Perché non posso essere una persona normale?
Mia Martini è stata una cantante che ha sempre perseguito la ricerca della musica di qualità anche a scapito della notorietà e della rinuncia alla vetta delle classifiche.
C’è sempre stato un qualcosa di drammatico attorno alla sua vicenda umana. È stata una delle voci migliori della canzone italiana, interprete straordinaria che, solo in qualche occasione, ha avuto la possibilità di esprimere al meglio il suo talento e di rado ha avuto il successo che meritava.
La sorella, Loredana Bertè, ha sempre raccontato che il giorno della sua morte aveva ricevuto delle telefonate, ma non aveva risposto. Cosa che non si è mai perdonata e che ha minato il suo già delicato equilibrio mentale.
“Molti anni fa mia sorella Mimì mi regalò uno dei primi telefoni cellulari. Il motivo del regalo era strettamente legato alla voglia di sentirmi più spesso ma io, senza un perché, lo buttai. Tempo dopo, il telefono di casa iniziò a squillare ma non risposi. Quella sera morì Mimì e io rimarrò sempre con il dubbio di aver perso la telefonata della vita”.
Una grande mancanza per il mondo musicale, ci restano le sue indimenticabili canzoni, il graffio doloroso e potente della sua voce e quell’eleganza che l’ha sempre contraddistinta.
#unadonnalgiorno