Restituire significa rendere giustizia. Possiamo sbarazzarci del passato come un fardello spiacevole che ostacola solo la nostra evoluzione, oppure possiamo assumerci la responsabilità e usarlo come base per andare avanti. Dobbiamo scegliere.
È fondamentale che il cinema e la letteratura diano non solo visibilità a chi è oppresso, ma che lo rappresentino anche in maniera autentica
Quella tra il Senegal e la Francia è una storia violenta, ma io e la mia generazione la stiamo superando per scriverne una nuova.
Mati Diop è la regista e sceneggiatrice che ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino 2024 con Dahomey.
Nel 2019 è entrata nella storia per essere la prima regista nera a presentare un film in concorso a Cannes per poi aggiudicarsi il Grand Prix della Giuria.
Il suo lungometraggio d’esordio, Atlantics, che ha vinto anche il premio inaugurale Mary Pickford al Toronto Film Festival era stato selezionato come candidato dal Senegal agli Oscar.
Nello stesso anno, Vanity Fair l’ha inserita nella sua lista delle cinquanta persone francesi più influenti al mondo.
È nata a Parigi il 22 giugno 1982 da madre francese e padre senegalese, il musicista Wasis Diop, ha respirato arte sin da piccola, suo zio paterno è Djbril Diop Mambéty, il celebre regista senegalese di Touki bouki e Iene.
Ha studiato al laboratorio di ricerca artistica del Palais de Tokyo e poi al centro di studi nazionale d’arti contemporanee Le Fresnoy, dove si è laureata, nel 2007. Dopo il liceo ha svolto diversi lavori, dalla cameriera alla figura che crea paesaggi sonori per il teatro.
Ha esordito nel mondo del cinema come attrice, nel 2008, recitando nel film di Claire Denis 35 rhums, per il quale ha ricevuto una candidatura al Premio Lumière per la migliore promessa femminile.
L’esperienza con la famosa regista le ha fatto comprendere che la sua strada era dietro alla macchina da presa e ha iniziato girando diversi cortometraggi.
Sporadicamente ha continuato la carriera d’attrice, in film come Simon Killer (2012), Fort Buchanan (2014) e Hermia & Helena (2016) e Incroci sentimentali (2022).
Nel 2019 la grande svolta della sua carriera è avvenuta con l’uscita del suo primo lungometraggio Atlantics, selezionato al Festival di Cannes, che l’ha vista, trentaseienne, in concorso con un film girato a Dakar in lingua Wolof.
Il film, tratto dal suo omonimo cortometraggio del 2009, esplora il tema della migrazione attraverso una poetica storia di fantasmi, sul trauma, la perdita e la persistenza dell’amore.
Il 24 febbraio 2024, il suo secondo film, Dahomey, che racconta la restituzione al Benin di 26 oggetti trafugati del Regno di Dahomey durante la guerra di colonizzazione, ha vinto l’Orso d’oro al Festival del cinema di Berlino.
Una profonda riflessione sul post-colonialismo (mai veramente affrontato), un documentario fantasy che è, allo stesso tempo, un manifesto politico e un film d’arte.
Mostra come una società che si riconnette con la propria eredità acquisisca forza e futuro. I temi dell’identità, della memoria e della perdita, sono sempre al centro delle opere di Mati Diop.
#unadonnalgiorno