Nutro una stima particolare per Marisa Albanese. Il suo modo intelligente e raffinato di toccare i temi più caldi dell’umanità, l’ha resa speciale, come donna e come artista.
Nata il 14 settembre 1947 a Napoli, si era diplomata all’Accademia di Belle Arti e laureata in Lettere Moderne all’Università Federico II.
Artista post concettuale, ha approfondito la stratificazione, la dislocazione dello sguardo, i flussi di energia, gli spostamenti umani e il movimento delle idee su geografie fisiche e interiori. Negli ultimi anni si era concentrata sul tema dell’immigrazione e sulle domande e le tensioni che la presenza dell’altro/a produce nelle nostre culture e nella nostra società.
In bilico tra concettualismo e minimalismo, i suoi lavori sono installazioni di pittura, disegno, scultura e linguaggio audiovisivo. Tensione e attraversamento, unificano tematicamente e strutturano concettualmente la sua ricerca e strategia estetica. Ha lavorato sul ripetizione ciclica, serialità, doppio e movimento dinamico.
Le sue opere sono presenti nelle maggiori collezioni private italiane e estere e in numerose istituzioni pubbliche. Nella città di Napoli, si possono ammirare al Museo MADRE, Museo Nazionale di Capodimonte, Museo del ’900 a Castel Sant’Elmo e al Pio Monte della Misericordia.
Nella stazione Quattro Giornate, della Metropolitana dell’Arte, si trova la sua installazione permanente dal titolo Le Combattenti, del 2000. Quattro donne tutte bianche con degli elmi sulla testa che sembrano dei caschi, sedute immobili come atlete in stato meditativo. L’opera fa parte del progetto le “Stazioni dell’arte”, che ha trasformato le stazioni metropolitane in veri e propri “musei obbligatori”.
Il titolo Combattenti è un omaggio alle donne della Resistenza, a tutte le figure femminili ribelli, contemporanee e future, che con le loro idee controcorrente e le loro piccole e grandi sfide quotidiane riescono a smuovere coscienza e determinare mentalità.
Questa “guerra” viene portata avanti con l’ausilio di un casco, emblema della difesa del cervello contro l’omologazione; è l’oggetto che, scevro da connotazioni aggressive, permette alle donne di filtrare gli stimoli esterni, accettando quelli positivi e respingendo quelli negativi.
Nella seconda parte dell’opera si legge la metafora con il palindromo “In girum imus nocte ecce et consumimur igni”. La scritta fa riferimento alle falene che nella notte vengono attratte dal fuoco che lentamente le consuma.
Per Marisa Albanese la falena è l’artista, che pur di esprimersi, non ha paura di essere bruciata dal fuoco; accetta i rischi ed è consapevole del fatto che i suoi lavori potrebbero non essere apprezzati.
La sua opera è sapiente esercizio comunicativo, consapevole forma di riscatto che dà voce all’ineffabile, rende tangibile l’invisibile, prende posizione, è parte attiva in un processo di creazione di senso.
Personalmente, ho conosciuto Marisa Albanese nel 2015, era una delle artiste partecipanti a una mostra collettiva sui luoghi e gli spazi dell’Amica Geniale di Elena Ferrante, di cui curavo la comunicazione. Non dimenticherò mai una sua telefonata in cui mi raccomandava di dare risalto a una nuova artista che esponeva, perché era importante dare visibilità alle nuove generazioni, che non hanno mai voce. In un mondo, come quello dell’arte, dove spesso predomina l’ego, quella sua posizione mi ha sorpresa e motivata.
Successivamente, Marisa Albanese mi ha voluta accanto a sé nel progetto Corpus Comune, che poi, nel tempo ha cambiato nome. L’idea iniziale era un viaggio simbolico dal primo luogo di approdo delle persone migranti, un laboratorio artistico nel luogo di accoglienza, per evidenziare eventuali talenti e distrarre dalle lunghe attese, per poi provare a creare un’opera comune che determinasse un unico corpo.
Siamo partite insieme per Lampedusa per segnare la prima tappa dell’approdo in Italia per tante donne e uomini che sfidano il deserto, la Libia e poi il mare, per cercare una vita migliore. Lampedusa è stato un viaggio dell’anima e un’esperienza che ha segnato la mia vita. Ci siamo ritrovate in un’isola ventosa e restia ad accogliere l’ennesima artista che cercava ispirazione in un luogo dove le priorità sono altre. Ma questo, personalmente, l’ho capito soltanto molto tempo dopo, all’epoca ero solo scoraggiata, mentre Marisa continuava a ripetermi che nella sua vita aveva trovato soltanto porte chiuse davanti a sé ma non per questo si era mai arresa, anzi, ne aveva tratto un punto di sfida e di forza.
Varie sono state le peripezie che ci siamo trovate ad affrontare, compresa la porta sbarrata di quella sindaca osannata da tutta la sinistra italiana che non ha voluto nemmeno salutarci, nonostante fosse lì, da sola, nella sua stanza e in orario di ricevimento. Ma questo adesso non è importante. La cosa più divertente è stata che, per un disguido tra prefettura e ministero degli interni, siamo riuscite a entrare nel famigerato hotspot dell’isola, dove l’ingresso era vietato assolutamente a tutti e tutte. Siamo entrate, abbiamo visitato, parlato, visto, siamo state dentro per quasi un’ora prima che ci sbattessero fuori, nemmeno elegantemente, dopo averci controllato i documenti per ben due volte. Abbiamo fatto una cosa che resterà nella storia, neppure gruppi di attivisti, o reporter potevano avervi accesso, se non accompagnati da delegazioni politiche. Ma le missioni impossibili non facevano che stimolarci. Dopo incontri, appuntamenti, senza nessun contatto o riferimento, Marisa Albanese ha organizzato un laboratorio artistico clandestino con i ragazzi che vivevano nel centro e che ogni giorno scappavano da un buco nella rete di recinzione. Insieme, poi, abbiamo fatto altri laboratori con persone migranti, stavolta a Napoli, in un luogo meno ostile, che hanno prodotto un libro, delle mostre, un film e, soprattutto, un’esperienza umana indescrivibile.
Marisa Albanese è stata un’artista e una donna intelligente, raffinata, che parlava sussurrando e che pensava sempre molto, prima di aprire bocca.
Le sue mani instancabili disegnavano continuamente sul quadernino che si portava sempre appresso. Una donna dai lunghi silenzi, che preferiva fare più che raccontare.
Esile e minuta, possedeva una forza straordinaria e una caparbietà non indifferente. Ha dovuto sgomitare molto per riuscire a esprimersi fin dai suoi esordi, avvenuti in un’epoca in cui le donne nel mondo dell’arte erano ancora mosche bianche.
Mi sento privilegiata nel potermi definire sua amica. La sua delicatezza e insieme la sua grande forza, sono necessarie al mondo dell’arte e della cultura tutta.
Ha lasciato la terra il 21 agosto 2021 a causa di un tumore al pancreas, la malattia non le ha impedito di continuare a lavorare, fino all’ultimo giorno, alla sua ultima opera, Massi Erratici imponente installazione site-specific che è stata inaugurata il 10 luglio 2023 nel Parco di Capodimonte, proprio dove le era stato tributato l’ultimo saluto laico, come lei aveva desiderato.
Il progetto era nato dal ritrovamento di circa cinquecento elementi lapidei, resti dei bombardamenti subiti dalla città di Napoli nel 1943, emersi durante i lavori di restauro del giardino storico. Attraverso il recupero, lo studio e la catalogazione di questi materiali, Marisa Albanese ha realizzato un’opera monumentale con cui integrare memoria e ambiente, funzione simbolica, politica ed etica in cui sono inserite due sue Combattenti, una accovacciata in marmo bianco di Carrara e una in piedi in marmo bardiglio.
Il corpo di Marisa Albanese non abita più la terra, ma la sua opera bianca, delicata, forte e imperitura, sopravvive, resiste e verrà ammirata ancora per tanto, tanto tempo.
#unadonnalgiorno