Ripensare e rivalutare le nostre azioni, rivisitare, ricordare, ricercare e riconnettersi con le saggezze millenarie per ri-orientare, riavviare, rivedere i nostri modelli di vita riutilizzando, riducendo, riparando, riciclando, attraverso un processo di ritorno e resistenza per ristabilire l’equilibrio, per ri-assicurare la nostra stessa esistenza.
Marina Tabassum, architetta bangladese nominata tra le 100 persone più influenti del 2024 della rivista TIME, dagli anni Novanta realizza progetti che rispondono alle emergenze climatiche e sociali del nostro pianeta.
Ha insegnato in istituzioni come la Harvard University Graduate School of Design, la Toronto University, la BRAC University e l’Università dell’Asia Pacifica. È docente di progettazione architettonica per l’adattamento climatico alla Delft University of Technology, nei Paesi Bassi ed è direttrice del programma accademico presso il Bengal Institute for Architecture, Landscapes and Settlements.
Ha ricevuto un dottorato honoris causa dall’Università di Monaco e, nel 2016, ha vinto l’Aga Khan Award for Architecture per la progettazione della moschea Bait-ur-Rouf di Dhaka, in cui ha ricercato l’essenza dell’Islam come spazio, al di là di mistiche e rituali.
È stata la prima architetta del sud est asiatico a ricevere il Lisbon Triennale Lifetime Achievement Award nel 2022 e, recentemente, le è stata affidata la cura del Serpentine Pavilion 2025 di Londra.
Nata a Dhaka nel 1969, si è laureata in architettura alla Bangladesh University of Engineering and Technology nel 1994.
L’anno seguente ha fondato con Kashef Chowdhury il suo primo studio, URBANA, che ha vinto importanti concorsi come quello per il monumento e il museo nazionale dell’indipendenza.
Nel 2005 ha dato vita al Marina Tabassum Architects.
I suoi progetti danno forma a un linguaggio contemporaneo nato dalla consapevolezza del contesto come espressione culturale e ambientale come la Comfort Reverie e la Ar Tower a Dhaka, geometrie climate-responsive che cercano di contribuire al consolidamento del panorama della città; le case sopraelevate – che rispondono agli innalzamenti del livello delle acque sulle coste bengalesi – portate alla Triennale di Sharjah, o la capanna che porta la precarietà in mezzo al Vitra Campus di Weil am Rhein.
Per la Biennale di Venezia del 2018 ha presentato Wisdom of the Land, creato a partire da un lavoro sviluppato con le comunità locali bengalesi.
Ripensare, prima ancora che produrre; processi e contesti, prima ancora che forme: sono tratti che riassumono molto il suo approccio e la riflessione in primo piano dell’architettura contemporanea.
La sua visione globale dell’architettura parte dalle periferie, dalla cultura locale, che mette in dialogo col resto del pianeta cercando soluzioni per problemi come l’emergenza climatica, rispettando contesto e storia.