Marianne Moore poeta e scrittrice statunitense appartenente al modernismo.
«Mi sembra che Wallace Stevens metta il dito su quella cosa che è la poesia quando parla di “una violenza interna che ci protegge da una violenza esterna”.
A quella «violenza interna» Marianne Moore dedicò la vita, distillandola in un’opera segnata ovunque da una vocazione esigente per la forma perfetta. Esemplare per la fedeltà e il coraggio con cui difendeva il suo mondo fisico e metafisico, per la coerenza con cui credeva nella poesia senza temere di essere considerata inaccessibile e senza mai abbassare i suoi aculei, incrollabile «come una fortezza», si impose all’ammirazione dei maggiori poeti del tempo.
Oggi la sua opera poetica è universalmente considerata una pietra preziosa, inscalfita e durissima, che continua a rifulgere di una luce lieve e limpida, inconfondibile.
Nacque a Kirkwood (Missouri), il 15 novembre 1887, nella casa parrocchiale della chiesa presbiteriana di cui il nonno materno, John Riddle Warner, era il pastore. Figlia di un ingegnere e inventore, John Milton Moore, di Mary Warner, crebbe nella casa del nonno, poiché il padre era stato ricoverato in un ospedale psichiatrico prima della sua nascita. Nel 1915 cominciò a pubblicare poesie professionalmente.
In parte a causa dei suoi diversi viaggi in Europa prima della prima guerra mondiale, Marianne Moore attrasse l’attenzione di vari poeti, tra cui Wallace Stevens, William Carlos Williams, Hilda Doolittle, T. S. Eliot ed Ezra Pound. Dal 1925 al 1929, lavorò come editrice della rivista letteraria e culturale The Dial. Questo le diede un ruolo simile a quello di Pound e la possibilità d’incoraggiare poeti promettenti, tra cui Elizabeth Bishop, Allen Ginsberg, John Ashbery e James Merrill, di pubblicare i suoi primi lavori, e di raffinare la sua tecnica poetica.
Nel 1933 ricevette il premio Helen Haire Levinson Prize dalla rivista Poetry. Il suo Collected Poems del 1951 fu il suo lavoro più premiato: ha ricevuto il Premio Pulitzer per la poesia, il National Book Award, e il Premio Bollingen per la poesia.
Marianne Moore divenne una celebrità nei circoli letterari di New York. Si recava ad incontri di pugilato, partite di baseball e altri eventi pubblici vestita in quello che divenne poi il suo abbigliamento tipico, un cappello a tricorno e un mantello nero. Appassionata di atletica e di atleti, era una grande ammiratrice di Muhammad Ali, per il quale scrisse un’introduzione al suo album I Am the Greatest!.
Vincitrice della Medaglia Robert Frost nel 1967, ha continuato a pubblicare poesie in varie riviste oltre che a pubblicare diversi libri e raccolte di poesie e critiche.
Eliot scrisse di lei: “La mia convinzione, per quanto può valere, è rimasta immutata da quando ho conosciuto l’opera di Marianne Moore: le sue poesie fanno parte del piccolo corpo della poesia durevole scritta nel nostro tempo; di quel piccolo corpo di scritti, in mezzo a ciò che passa per poesia, nel quale una sensibilità originale e un’intelligenza alacre e un sentimento profondo si uniscono a tenere in vita la lingua inglese”.
E Auden: “Le poesie di Marianne Moore sono un esempio di un tipo d’arte meno frequente di quanto sarebbe desiderabile; ci incantano non solo perché sono intelligenti, appassionate, meravigliosamente scritte, ma anche perché sentiamo che scaturiscono da una persona profondamente buona. Proprio Marianne Moore, interrogata sui rapporti tra arte e morale, ha detto: ‘Per fare della buona poesia, occorre che un uomo sia buono? I cattivi di Shakespeare non sono degli ignoranti, mi pare. Ma la rettitudine ha un suono che ti impegna personalmente, direi. E un uomo privo di integrità non è fatto per scrivere il genere di libri che io leggo’ ”.
Ha lasciato il mondo il 5 febbraio 1972 a New York.