Mariangela Maccioni, nata a Nuoro nel 1891, integerrima antifascista e sardista viene ricordata come “La maestra resistente”.
Suo padre Sebastiano, convinto socialista e fondatore della prima società operaia a Nuoro, le aveva trasmesso l’amore per l’insegnamento, in una casa piccola e spoglia ma ricca di cultura.
Gli anni della prima guerra mondiale furono drammatici a causa della morte del padre e dei fratelli e della cecità di sua madre, Giuseppina.
Appassionata di filosofia politica e buddista, la giovane donna studiava e scriveva senza tregua, leggeva libri in francese e poesie sarde. Il suo salotto era un vero e proprio circolo letterario. Mariangela Maccioni riceveva i suoi amici tra confidenze, letture impegnate e interi cicli di lezioni di storia locale. Una cultura aperta, mai supponente, ricca di amore per i propri ideali.
L’amicizia “scandalosa” con l’antropologo Raffaello Marchi, a cui era legata da affinità elettiva e voglia di confrontarsi, e con cui faceva lunghe passeggiate sulle strade campestri, era continuo oggetto di maldicenze tanto che i due decisero, per pura formalità e per fare contenta la madre di lei, di sposarsi, promettendosi reciprocamente di mantenere fede al tacito giuramento di libertà, principio sovrano della loro vita.
La loro casa diviene presto un focolare acceso di fede antifascista – racconta la scrittrice Maria Giacobbe, sua amica – e i giovani che avevano goduto del suo insegnamento sui banchi della scuola continuano ad andare da lei per avere ancora parole di verità.
Il fascismo, con i suoi metodi repressivi e violenti, era penetrato presto nella scuola, straordinario veicolo di comunicazione, in chiave oppressiva. Circolari su circolari, imponevano il regime in tutti gli ambiti scolastici. Divise, programmi, libri, festività, adunate: tutto era rigorosamente deciso. La maestra venne costretta a insegnare sui testi del regime ma si rifiutò di parlare del fascismo in classe. La maggior parte degli e delle insegnanti accettavano tutto senza fiatare, seppur a malincuore, per paura di ripercussioni, c’era anche chi era totalmente affascinato/a dal nuovo ordine che giungeva da Roma. Una cosa è certa: non molti si ribellavano, ma lei sì.
Ha predicato verità e uguaglianza senza farsi spaventare perseguendo i suoi ideali difesi con le unghie e con i denti.
L’antifascismo militante della maestra Maccioni si è manifestato con alcuni emblematici episodi: nel 1923 non partecipa alla cerimonia ufficiale per il primo anniversario della “marcia su Roma”; nel 1926 incoraggia i suoi scolari al canto di “Bandiera Rossa”, canzone comunista odiata dai fascisti.
Mariangela Maccioni subiva le angherie e il disprezzo delle autorità fasciste nuoresi, che la perseguitavano e oltraggiavano continuamente, controllandone la corrispondenza, le lezioni, amicizie e spostamenti.
Un gesto plateale e fortemente politico fu la sua sottoscrizione “pro Matteotti”.
Nel 1937, nel giorno del suo compleanno, i gendarmi dell’Ovra piombarono a casa sua e durante la perquisizione trovarono testi francesi e una lettera su un giovane anarchico sardo morto in Spagna combattendo contro i fascisti.
Venne mandata in carcere, per le idee antifasciste, il “suo temperamento un po’ troppo vanitoso”, le amicizie politicamente scorrette e per non essersi mai pentita.
Per Mariangela Maccioni trascorsero 39 giorni tra disperazione e fermezza. Venne esonerata dal servizio e messa al bando della vita pubblica. Fi proposta addirittura per il confino con l’accusa di “attività antinazionale”.
Grazie all’ostinazione del suo avvocato, dopo un lungo procedimento, il 1° marzo 1944 poté tornare in classe dove continuò a subire controlli e vessazioni.
Il nuovo direttore entrò dunque in classe, mi chiese il registro e iniziò l’ispezione. Com’era lontano il tempo delle prime visite di controllo, quando la maestrina inesperta tremava alla presenza dell’autorità scolastica! L’ispezione procedette bene: le scolare lessero, scrissero, cantarono, recitarono con tranquillità e sicurezza. Ed ecco dall’alto piove la domanda: «Chi è il duce?» Qualche voce rispose: «Mussolini.» Non piacque all’interrogatorio la risposta. Si rivolse a me: «Lei non ha spiegato chi è il duce?» «Non l’ho creduto opportuno.»«Perché?» «Non mi pare bene parlare di queste cose a bambine di sei anni.» «Come, non le par bene?» Agitò in aria in registro, ordinò: «All’uscita venga su in direzione.» E uscì, fulminandomi con gli occhi che aveva grossi e sporgenti. Mi attendeva con il registro piegato sul tavolino e il viso di un re indignato.
«Leggevo qui la sua cronaca. Vedo che ha dimenticato di segnalare le feste del regime.» Tacqui.
«Il resto», proseguì scorrendo con gli occhi le mie annotazioni sull’andamento del programma e delle bambine «il resto è letteratura. Come mai non ha parlato alle sue scolare del duce?»
Volli essere prudente. «Mussolini è un uomo politico» risposi «non mi pare che le bambine di una prima classe possano capirne gran che.» «Come? Il duce è così umano, ha fatto tanto per i bambini! Il duce è un grand’uomo!» «Ai posteri l’ardua sentenza» recitai, scandendo le parole. «Come? Il duce non è un grand’uomo?» «Ai posteri…» ripetei. «Ebbene» disse solennemente «io le potrei dimostrare che si può benissimo parlare del duce alle bambine; ma sarà lei a fare la lezione sul duce. Lei farà questa lezione entro una settimana, e se no…» «E se no? Lei minaccia? Ebbene, sappia che io non cedo alle minacce. Non temo chi può uccidere il mio corpo, ma chi può offendere il mio spirito. E ora, se questa è la sua mansione, vada e mi denunzi al prefetto.» Accolse la mia sfida impallidendo, e si alzò.
Mariangela Maccioni ha aderito prima al Partito Sardo d’Azione, poi al Movimento Cristiano per la Pace, e nel 1948, si è candidata nella lista del Fronte Popolare. Ha fatto parte dell’UDI (Unione Donne Italiane).
È morta nel 1958. Le sue memorie e testimonianze sono state raccolte dal marito, nel volume “Memorie politiche”.
La sua città, Nuoro, le ha intitolato una scuola media, c’è anche un grande murale che la raffigura, commissionato dall’Anpi.
Mariangela Maccioni ha vissuto da donna libera, autodeterminata e consapevole.
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