Maria Spiridonova, rivoluzionaria russa dalla volontà inossidabile, ha trascorso la maggior parte della sua vita in esilio e in carcere, sia sotto il regime zarista che sotto quello sovietico.
Assieme ad Aleksandra Kollontaj, è stata l’unica donna a svolgere un ruolo davvero di primo piano durante la rivoluzione.
Nata a Tambov il 16 ottobre 1884, in una famiglia nobile di provincia che le aveva permesso di istruirsi, era anche a studiare odontoiatria a Mosca prima che la morte del padre e la tubercolosi che l’aveva afflitta, la costrinsero a tornare a casa e cercarsi un impiego.
Si era avvicinata al Partito Social Rivoluzionario sin da giovanissima e aveva preso parte alle giornate social rivoluzionarie del 1905 che l’hanno vista andare in prigione per la prima di tante volte.
La repressione di quei moti fu brutale e compagni di lotta furono spietatamente massacrati dai cosacchi.
Aderì, per questo, all’ala combattente del PSR per eliminare uno dei responsabili della sicurezza che aveva represso nel sangue gli scioperi agrari. Dopo averlo seguito per lungo tempo, travestita da studentessa, gli aveva sparato cinque colpi di pistola che lo avevano ammazzato.
Arrestata, subì torture e sevizie da parte delle forze dell’ordine senza mai rivelare i nomi dei suoi complici. Venne condannata a morte con sentenza poi commutata nei lavori forzati a vita in Siberia.
La sua lettera, pubblicata sul giornale liberale di San Pietroburgo Rus’, in cui raccontava dell’orribile trattamento ricevuto, scosse l’opinione pubblica progressista che la trasformò in un’icona del movimento rivoluzionario.
Un vero e proprio culto si diffuse per la Russia, i contadini di Tambov offrivano preghiere per la sua salute, il suo ritratto si trovava nelle case accanto alle icone sacre e intere folle si radunavano per vederla passare durante i trasferimenti in treno da un carcere all’altro. Addirittura a Londra, venne raccolto un cospicuo fondo destinato a finanziare la sua possibile fuga dalla prigione.
Dopo dieci anni di detenzione, insieme ad altre cinque rivoluzionarie, il cui gruppo è passato alla storia come šestërka (il sestetto), venne liberata nel 1917, in seguito all’amnistia decretata dopo la rivoluzione di febbraio.
Diventata delegata al Terzo Congresso Nazionale del partito, si era schierata con l’ala sinistra estrema che si alleò brevemente con i bolscevichi dopo la rivoluzione d’ottobre.
Figura di primo piano in politica, grazie al suo carisma, alla sua fama e alle sue abilità oratorie, venne eletta nel Soviet locale e nel Comitato Esecutivo dei soviet contadini.
In rottura col PSR di cui criticava la presenza nel governo borghese provvisorio, aveva fondato il Partito Social Rivoluzionario di Sinistra (PLSR) che rimase nel II Congresso dei Soviet.
Gli argomenti che portava avanti erano: fine della guerra, terra ai contadini, abolizione della pena di morte e potere ai Soviet, e le propagandava con efficacia nei periodici sui quali scriveva come Terra e libertà, La bandiera del lavoro e Il nostro cammino.
Nel novembre del 1917 venne eletta Presidente del Congresso dei Deputati dei Contadini, determinando l’ingresso del soviet contadino nel Comitato Esecutivo Centrale Panrusso saldamente in mano ai bolscevichi. Il fatto che Lenin avesse riconosciuto che il Decreto sulla terra del 26 ottobre 1917, fosse un progetto fortemente voluto dai socialisti rivoluzionari di sinistra fu sufficiente per convincerla a trovare un accordo di governo con i bolscevichi.
Era stata la candidata della sinistra alla presidenza dell’Assemblea costituente, insediatasi il 5 gennaio 1918, ma venne sconfitta dal centrista Cernov.
Era stata alla guida della Sezione contadina per poi far parte del Comitato Rivoluzionario di Difesa di Pietrogrado.
La rottura definitiva con Lenin avvenne in seguito alle requisizioni forzate di derrate alimentari nelle campagne, autorizzate dal governo, compiute tra abusi e violenze sui contadini.
L’opposizione divenne crescente e il 6 luglio 1918 due militanti socialrivoluzionari uccisero l’ambasciatore tedesco Mirbach-Harff. Lei si assunse subito la responsabilità politica dell’atto e il 7 luglio il PLSR tentò una insurrezione contro i bolscevichi, arrivando ad arrestare per poche ore il capo della Ceka.
A capo della rivolta, si presentò al teatro Bolshoj, dove si stava svolgendo il Congresso dei Soviet, per pronunciare un discorso di attacco al regime bolscevico in difesa della creatività rivoluzionaria delle masse. Lenin la fece nuovamente arrestare.
Condannata a un anno di carcere e amnistiata poco dopo, aveva continuato la sua attività politica, cercando di riunire il partito. Accusava i bolscevichi di aver delegittimato i soviet imbrigliandone la libertà e di aver tradito gli ideali di emancipazione della Rivoluzione d’Ottobre.
Nel febbraio 1919 fu nuovamente arrestata, dichiarata inferma di mente e rinchiusa in una caserma-ospedale del Cremlino da dove di lì a poco fuggì, iniziando una fase di clandestinità spacciandosi per una contadina.
Il 6 ottobre 1920 la Ceka la arrestò nuovamente, scovandola in un appartamento malata di tifo. Venne sottoposta, per volere di Trockij ad un regime carcerario piuttosto duro, per poi essere trasferita in un istituto psichiatrico, venendo liberata l’anno successivo e affidata alla custodia dei vertici dell’ex PLSR fedeli alla linea bolscevica, purché non si occupasse più di attività politica.
Nel 1923, probabilmente per un tentativo di fuga all’estero, venne nuovamente arrestata e mandata in esilio alle periferie dell’Unione Sovietica, a Samarcanda e poi a Tashkent.
Non svolse più attività politica ma creò una rete di contatti per aiutare gli ex compagni esiliati a vivere dignitosamente.
In questo periodo sposò Andreij Majarov, ex dirigente social rivoluzionario anche lui al confino.
Con l’inasprirsi delle purghe staliniane, venne esiliata a Ufa, in Bashkiria, dove lavorava nella banca agricola locale e organizzava un piccolo collettivo casalingo con il consenso del ministero dell’interno.
Nel 1937, con le nuove purghe venne nuovamente arrestata e fu portata a Mosca nella prigione di Oriol per scontarvi 25 anni di carcere, dopo un processo sommario con l’accusa di cospirazione, attività controrivoluzionarie e sovversive per costruire una Repubblica Social Rivoluzionaria in Bashkiria.
L’11 settembre 1941, Stalin la fece fucilare insieme ad altri 150 prigionieri politici e seppellire in una fossa comune.
Ultimo oltraggio per lei che, fino all’ultimo, si era sempre dichiarata contraria alla pena capitale.
È stata una donna pronta a tutto per difendere i suoi ideali.
Ha passato più di trent’anni, dei cinquantasei vissuti, in carcere o in esilio. Sempre di salute cagionevole, non si è risparmiata nel suo attivismo.
Ha guidato le folle con i suoi discorsi e i suoi scritti. È stata osannata come una martire. È stata accusata di essere pazza e, infine, ammazzata.
Soltanto nel 1992 sono cadute tutte le accuse nei suoi confronti ed è stata completamente riabilitata.
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