Maria Giudice è stata tra le prime sindacaliste e femministe italiane, socialista, giornalista, attivista dall’eccezionale vitalità e dinamicità.
La sua forza, politica e culturale, è emersa nelle tante battaglie per i diritti di lavoratori e lavoratrici, nei dibattiti e negli scioperi che l’hanno più volte condotta in carcere.
Una ‘donna atipica’ per la sua contemporaneità, in grado di dedicarsi agli altri e alle altre con innata generosità.
Nacque a Codevilla, in provincia di Pavia, il 27 aprile 1880, i suoi genitori erano Ermesto, reduce garibaldino Ernesto e Ernesta Bernini.
Maestra elementare e compagna dell’anarchico Carlo Civardi morto in guerra nel ’17, ha attraversato i primi vent’anni del Novecento con un doppio ruolo: quello di ‘donna d’azione’ e ‘donna di parola’.
Nel 1902, si è avvicinata al socialismo e iniziato a collaborare al periodico L’Uomo che ride.
Nel 1903 è diventata segretaria della Camera del Lavoro di Voghera.
Segnalata dalla questura per attività di propaganda e manifestazioni pubbliche, è finita in carcere per aver scritto un articolo critico sull’eccidio di Torre Annunziata.
Incinta del primo figlio, scelse di partorire da esule in Svizzera dove ha incontrato Lenin e Angelica Balabanoff, con cui ha fondato La difesa delle lavoratrici.
Ha scritto su vari periodici dell’epoca il suo personale punto di vista su temi che riguardano la vita intima delle donne.
Questo verrà testimoniato nei romanzi del ciclo autobiografico di Goliarda Sapienza, in cui Maria Giudice è stata la madre.
La precocità delle sue idee è stata notevole per l’epoca.
Dal 1905, ha scritto per L’Avanti! di Antonio Gramsci al fianco di Benito Mussolini.
Insegnante, oltre che giornalista ha gradualmente cominciato a diventare una figura scomoda, da tenere sotto controllo.
Nel 1914 ha guidato lo sciopero delle lavoratrici della Valsesia.
Dal 1916 ha diretto Il grido del popolo.
Era a capo della Camera del Lavoro di Torino, quando è stata arrestata per aver guidato lo sciopero generale contro la guerra.
Dal 1919, per volere del partito, si è trasferita in Sicilia.
Arrivata a Catania con i sette figli, ha fondato con l’avvocato anarchico catanese Peppino Sapienza, il giornale L’Unione continuando le battaglie sociali per i diritti di lavoratori e lavoratrici.
Le sue carcerazioni si sono susseguite con più frequenza con l’avvento del fascismo. Soprattutto dopo la nascita della figlia Goliarda, nel 1924 a cui ha trasmesso la sua attenzione straordinaria nei confronti della cultura e l’amore per i classici greci e latini.
Nel 1941 è tornata a Roma con la figlia. Riallacciati i rapporti con i principali antifascisti, ha partecipato alla Resistenza, iniziando a manifestare i primi sintomi di una follia che l’ha accompagnata fino alla morte, avvenuta il 5 febbraio del 1953.
Tra i suoi ultimi interventi pubblici si ricordano la firma, nel 1944, dell’atto di fondazione dell’Unione Donne Italiane (UDI) e il sostegno ai promotori della scissione socialdemocratica di palazzo Barberini nel 1947.
L’impegno filiale nella riabilitazione della figura materna è stato per Goliarda Sapienza, una costante della sua opera.
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