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Margaret Bourke-White

Margaret Bourke-White

Margaret Bourke-White, pioniera del fotogiornalismo, è stata la prima statunitense ad avere il permesso di scattare foto in URSS, e la prima donna a lavorare come fotografa per il settimanale Life.

Donna dai numerosi primati, è riuscita, con un lavoro incessante, a documentare alcuni dei maggiori avvenimenti storici mondiali come l’America industriale e della grande Depressione, il Sud segregazionista, la Russia di Stalin, l’India del Mahatma Gandhi, le miniere del Sudafrica.

Nata a New York il 14 giugno 1904, in gioventù cambiò numerosi college.

Verso i vent’anni cominciò a dedicarsi alla fotografia industriale e nel 1929, grazie alla conoscenza di Henry Luce, iniziò una collaborazione come fotoreporter per una nuova rivista illustrata: Fortune. Da allora iniziò una serie di viaggi atti a portare alla luce situazioni sociali fino ad allora poco indagate.

In piena Depressione attraversò, insieme al futuro marito, lo scrittore Erskine Caldwell, il profondo sud degli Stati Uniti fotografando la sottoclasse rurale e le condizioni di estrema povertà.

Nel 1937 le sue foto, con il testo di Caldwell, produssero la pubblicazione You have seen their faces che anticipava di molto i tempi sia per il soggetto che per il personalissimo stile fotografico.

È stata la prima fotografa ad avere accesso in Russia, dove si recò tra il 1930 e il 1932 documentando il primo piano quinquennale di Stalin, che avviò la transizione da una società agricola a una industriale.

Continuò a mantenere il proprio studio fotografico indipendente fino al 1936, anno in cui una sua foto fu scelta per la copertina del primo numero di Life portandola alla ribalta in un lavoro che fino ad allora era prerogativa maschile.

Alcune sue foto sono diventate storiche come quella che ritraeva delle persone afroamericane in fila alla Croce Rossa dopo l’esondazione del fiume Ohio nel 1937, lo sfondo dell’immagine era un enorme cartellone che inneggiava l’alto standard di vita americano. La rappresentazione data dal suo obiettivo divenne il simbolo di un divario sociale, uno dei tanti contrasti che è stata in grado di mostrare attraverso la sua fotografia.

Nel 1941 ritornò in Unione Sovietica come unica fotografa americana durante l’invasione tedesca a Mosca. Scattò il primo ritratto non ufficiale di Stalin, anche l’unico per molti anni, con circolazione autorizzata al di fuori dell’URSS.

Margaret Bourke-White credeva nell’importanza del proprio lavoro, era “fermamente convinta che il fascismo non avrebbe preso il potere in Europa se ci fosse stata una stampa veramente libera che potesse informare la gente invece di ingannarla con false promesse”.

È stata la prima donna a lavorare come corrispondente durante la Seconda Guerra Mondiale e la prima a volare durante i combattimenti contro l’esercito tedesco. Seguì le operazioni in Africa, sul fronte italiano (foto raccolte nel libro They Called it Purple Heart Valley) e poi in Germania. Nell’aprile del 1945 è stata tra i primi a entrare e fotografare nel campo di concentramento di Buchenwald liberato e a far conoscere al mondo l’orrore dei campi di sterminio.

Documentò il mondo intorno a sé con missioni rischiose e intrepide divenendo un mito anche a seguito di alcune disavventure come un atterraggio di fortuna nell’Artico e due giorni passati su una scialuppa nel Mediterraneo dopo che la sua nave fu silurata.

Fu l’ultima persona a fotografare Gandhi, poche ore prima che venisse ucciso.

Indagata per presunte attività anti-americane dall’FBI, proseguì il suo lavoro che la portò, nel 1952, a seguire la guerra di Corea con immagini cruente che rimarranno nella storia.

Ammalatasi di Parkinson nel ’59 si sottopose a un intervento chirurgico al cervello che fu documentato sui giornali. Successivamente si dedicò alla scrittura con l’autobiografia Il mio ritratto, pubblicata nel 1963, che divenne un bestseller.

È morta il 27 agosto 1971.

Della sua professione di fotografa disse:

la fotografia non dovrebbe essere un campo di contesa fra uomini e donne

e più tardi rivelò a un editore:

in quanto donna è forse più difficile ottenere la confidenza della gente e forse talvolta gioca un ruolo negativo una certa forma di gelosia; ma quando raggiungi un certo livello di professionalità non è più una questione di essere uomo o donna”.

 

#unadonnalgiorno

 

Testo di Graziella Melania Geraci

 

 

 

 

 

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