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Ma Rainey. La madre del blues

Ma Rainey la Madre del Blues

La musica fa questo, riempie i vuoti. Tu non canti per stare meglio, tu canti perché in questo modo comprendi la vita. Il blues ti aiuta ad alzarti dal letto la mattina, ti alzi e sai di non essere solo. C’è qualcos’altro nel mondo, una cosa in più, aggiunta da quella canzone.

Ma Rainey, cantante statunitense definita la Madre del Blues termine che ella stessa avrebbe coniato.

È stata la prima artista a rompere la barriera degli spettacoli di cabaret e vaudeville e a portare il sound nero al pubblico bianco.

Prima donna a diventare professionista in ambito musicale, nera, apertamente bisessuale in una società che tendeva a schiacciare, emarginare e stigmatizzare, è riuscita a compiere la sua autodeterminazione.

Era lei che pagava i musicisti della sua band e in anticipo, senza mettere mai in secondo piano il suo talento.

Prima vera anima del blues, col suo stile ha influenzato generazioni di musicisti e musiciste.

Nata a Columbus, in Georgia, col nome di Gertrude Pridgett, il 26 aprile 1886, ha iniziato appena adolescente a esibirsi come artista di vaudeville. 

La sua storia si fonde con il mito, ma è di certo la musica che l’ha determinata.

La sua voce era profonda e stridente, viscerale, malinconica e piena di dolore, aveva persino uno stile di gemiti che ha affascinato migliaia di fan, colpiti dalla sua presenza sul palco e dai costumi appariscenti che indossava.

Nel 1904 sposò il cantante William Rainey, detto Pa e da quel punto iniziò a farsi chiamare Ma Rainey. Insieme suonarono attraverso tutto il sud degli Stati Uniti con il gruppo Rabbit Foot Minstrels cantando un miscuglio di blues e canzoni popolari. Nel 1912 anche una giovane Bessie Smith entrò nella band e ci rimase fino al 1915.

È stata la prima artista nera a firmare con una grande casa discografica, la Paramount. Consapevole del fatto che una volta che la sua voce era su vinile, avrebbe iniziato ad essere sfruttata e usata da altri. All’epoca i musicisti neri non venivano pagati equamente per il loro lavoro e, spesso, erano costretti a cedere i diritti della loro musica ai produttori bianchi.

Ha inciso centinaia di canzoni in soli cinque anni, il primo disco risale al 1923, quando aveva già un ventennio di esperienza alle spalle.

Erano gli anni dei race records prodotti e venduti soltanto nei negozi riservati ai neri, fino a quando l’industria discografica bianca, in crisi dopo l’avvento della radio, non ha annusato l’enorme opportunità di guadagno.

Ma Rainey ha lottato per rimanere fedele al suo stile e alla sua identità nonostante gli scontri con il suo produttore e manager, interessati solo al profitto.

Il suo successo non è durato a lungo, il mondo stava cambiando e il jazz iniziava a dominare la scena musicale. La Grande Depressione, che aveva causato il calo del numero di tour e spettacoli, la spinse a ritirarsi nel 1935 per diventare direttrice di un teatro in Georgia, dove è morta, a Columbus, il 22 dicembre 1939.

Cantava con l’anima, la voce limpida e solida, con il fraseggio raffinato e uno stile duttile. Aveva assorbito l’influenza del vaudeville, appannaggio dei bianchi, e la sua teatralità, sciogliendolo nel blues del Sud più profondo, mutuando senza remore gestualità e linguaggio degli uomini, superando confini geografici, canoni stilistici e tabù di genere. Cantava della vita quotidiana, senza mezzi termini, dai tradimenti amorosi alle ingiustizie del lavoro, dalle sonore ubriacature al soprannaturale.

Nel 1983 Ma Rainey è stata aggiunta alla Blues Foundation’s Hall Of Fame e nel 1990 alla Rock and Roll Hall of Fame.

La sua vita è stata raccontata nel dramma di August Wilson Ma Rainey’s Black Bottom che, nel 2020, è stato trasposto in un omonimo film che ha visto protagonista Viola Davis.

La sua storia è quella di una comunità, di una donna, del potere salvifico della musica, di come l’arte stessa sia parte attiva della società e diventi un atto politico, della costruzione identitaria, della coscienza di sé e della rivendicazione di libertà fondamentali.

Il blues non è stato semplice intrattenimento. Ha scandito la vita comunitaria, accompagnava il lavoro nei campi e nei cantieri delle ferrovie, alleviando la fatica e curando la solitudine.

È stato l’unico strumento che le comunità afro discendenti hanno avuto per scrivere e tramandare la propria storia. Con la forza delle parole che gridano di non soccombere, passivi, all’esistenza.

#unadonnalgiorno

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