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Lizzie Borden

Lizzie Borden

È una fantasia presentare un gruppo di donne che, messe di fronte alla assai comune oppressione che subiscono da decenni, decidono che ne hanno avuto abbastanza e agiscono armate contro il governo?

Lizzie Borden è la regista e sceneggiatrice statunitense che, nei suoi lavori, si è dedicata a esplorare la sessualità dal punto di vista delle donne.

Dal 2014 insegna cinematografia al Columbia College di Hollywood.

I suoi film più noti sono Born in Flames (1983) e Working Girls (1986).

Nata col nome di Linda Elizabeth Borden il 3 febbraio 1958, a undici anni, come atto di ribellione, ha deciso di prendere il nome di Lizzie Borden, la donna accusata di duplice omicidio della madre e del padre, forse perché perseguitata per la sua omosessualità che ha ispirato una macabra filastrocca per bambini e bambine. 

Si è laureata in belle arti al Wellesley College del Massachusetts prima di trasferirsi a New York, dove è iniziata la sua carriera come scrittrice, critica d’arte e pittrice prima di dedicarsi al cinema.

Il suo impegno femminista l’ha portata a analizzare razza, classe, potere e capitalismo. 

Il suo primo documentario sperimentale, Regrouping, del 1976, raccontava la frattura di un collettivo di donne. Il ritratto di quattro artiste che incorporava tecniche d’avanguardia prese in prestito dalla performance art, inclusa una meta-analisi del ruolo del film stesso.

Il primo lungometraggio, Born in Flames, che ha visto la luce nel 1983 dopo cinque anni di lavorazione con un piccolissimo budget e con tutte attrici non professioniste, indaga su razzismo, classismo e sessismo in un mondo parallelo. Ambientato in una New York del futuro, esplora il ruolo che i media svolgono nella cultura. Quello che è iniziato come un progetto sulle risposte delle femministe bianche a un governo oppressivo si è evoluto in una storia su donne di colore, lesbiche e di varie classi sociali che si mobilitano per un’azione collettiva.
Definito un “collage disgiuntivo di lavoro individuale e collettivo delle donne” è stato presentato in anteprima al Festival del Cinema di Berlino e ha vinto diversi premi.
Nominato uno dei Cinquanta film indipendenti più importanti dalla rivista Filmmaker, è stato oggetto di un’ampia analisi femminista. Nel 2016 l’Anthology Film Archives lo ha restaurato, regalando un giro di proiezioni alla nuova copia.Il film successivo, Working Girls, del 1986, che ha scritto, diretto e prodotto, è stato ispirato da alcune delle donne che hanno partecipato alla realizzazione del precedente e che si prostituivano per guadagnarsi da vivere. Uno sguardo dietro le quinte di un fenomeno che ritrae come un lavoro spesso noioso, deprimente, occasionalmente interessante o divertente.
L’opera, che ha debuttato al Festival di Cannes, in gennaio 1987 ha vinto un premio speciale della giuria al Sundance Film Festival.
Love Crimes è stato il suo primo lungometraggio di Hollywood e il primo basato su una sceneggiatura non sua. Un thriller erotico che avrebbe voluto incentrare sui veri sentimenti sessuali di una donna ma che ha subito molte interferenze da parte della produzione (la Miramax di Harvey Weinstein con cui ha rotto clamorosamente prima dello scandalo che l’ha travolto) che lo ha tagliato e rimaneggiato andando contro l’idea iniziale che l’aveva spinto a farlo. 
Successivamente ha avuto molte difficoltà a organizzare altri progetti cinematografici e si è dedicata alla televisione, ha diretto alcuni episodi delle serie Red Shoe DiariesThe Secret World of Alex Mack e ha diretto un teatro di Hollywood con i Grace Players, una compagnia teatrale guidata da Natalija Nogulich.
È stata tra i quattro registi e registe coinvolte nel film antologico Erotique del 1995.
Dalla metà degli anni 2000 ha scritto sceneggiature per altri registi, tra cui una sulla relazione del cantante reggae Bob Marley con il gangster Danny Sims (basata sull’autobiografia di Rita Marley No Woman No Cry ). Ha lavorato ad alcune puntate pilota e ha scritto un’opera teatrale su Nina Simone.
Il restauro di Born in Flames, finanziato dalla Film Foundation e dalla Hollywood Foreign Press Association che ha fatto parte del “Re-Visions: American Experimental Film 1975–1990”, sostenuto dalla Andy Warhol Foundation for the Visual Arts. Per la riedizione, The New Yorker ha osservato, “la creatività libera, ardente e spontanea di ‘Born in Flames’ emerge come una modalità indispensabile di cambiamento radicale, che molti registi contemporanei con intenzioni politiche devono ancora assimilare”. 
La copia restaurata e rimasterizzata, che ha debuttato all’Anthology Film Archives nel febbraio 2016, ha vissuto una seconda vita ed è stata presentata al Walker Art Center, al Toronto Film Festival, al London Film Festival, all’Edinburgh Film Festival, al Seoul International Women’s Film Festival, al Final Girls di Berlino nel 2019 e al Bronx Museum of the Arts dove ha rappresentato l’opera principale di una mostra sul femminismo e il futuro. 
Dal 2021 fa parte dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Nel 2022 ha pubblicato un’antologia di storie di spogliarelliste a cui ha lavorato per vent’anni, Whorephobia, recensita su Publishers Weekly come “un ritratto umano e multidimensionale di un’industria tipicamente avvolta nell’artificio e nella vergogna“.
Fuori dagli ambienti mainstream, osteggiata, criticata e censurata, per prima ha lavorato con donne nere in un rapporto di reale collaborazione e frequentato e analizzato il mondo della prostituzione e del sesso a pagamento con uno sguardo mai giudicante, ponendosi allo stesso piano.
Nel 2023 il suo impegno è stato riscoperto grazie a No Master Territories: Feminist Worldmaking and the Moving Image grande progetto presentato al Toronto TIFF Bell Lightbox for Women’s History Month.
Lizzie Borden non è certo una regista che ha successo al botteghino, ma la sua poetica, la sua visione sui corpi e le battaglie delle donne, portata ostinatamente avanti sin dai primi anni Ottanta, rappresenta una pietra miliare nella cinematografia femminista. 

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