Lina Merlin, partigiana, antifascista e componente dell’Assemblea Costituente, tra le prime donne elette al Senato italiano, viene ricordata soprattutto per la legge che ha abolito la prostituzione legale.
Incarcerata e mandata al confino dai fascisti, è stata una delle poche insegnanti che si rifiutarono di prestare giuramento al fascismo.
Ha collaborato alla stesura della Costituzione. A lei si devono le parole dell’articolo 3: “Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso“, con le quali veniva posta la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna, che è stato sempre l’obiettivo principale della sua attività politica.
Tra le proposte di legge che ha presentato si ricorda quella per l’abolizione del carcere preventivo e la procrastinazione dell’inizio della pena per le madri.
A lei si deve anche l’abolizione dell’indicazione di “figlio di NN” (Nomen Nescio) che veniva apposto sugli atti anagrafici dei bambini abbandonati, l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la legge sulle adozioni che eliminava le disparità tra figli adottivi e biologici e la soppressione definitiva della cosiddetta clausola di nubilato nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano.
È stata una donna scomoda, invisa anche dagli stessi compagni di partito, ha saputo anche cambiare idea rispetto ad alcune sue posizioni precedenti, come quelle riguardo alla prostituzione e al divorzio.
Nacque col nome di Angelina Merlin a Pozzonovo, in provincia di Padova il 15 ottobre 1887, sua madre era una maestra e il padre segretario comunale.
Nonostante una laurea in lingua francese, scelse di insegnare alle scuole elementari, fino al 1926, quando venne estromessa dal regime.
Nel 1919 si iscrisse al Partito Socialista Italiano e iniziò a collaborare al periodico La difesa delle lavoratrici, di cui successivamente assunse la direzione, e al settimanale socialista L’Eco dei lavoratori.
Per la campagna elettorale veneta del 1924, stilò un rapporto dettagliato e preciso delle violenze e illegalità compiute dagli squadristi consegnato al deputato Giacomo Matteotti che lo utilizzò per stendere il suo atto di accusa al fascismo al potere: fu dopo quel discorso in parlamento che venne rapito e assassinato.
Nel 1926, segnalata nell’elenco dei sovversivi affisso nelle strade di Padova, provò a sfuggire alla repressione trasferendosi a Milano, dove cominciò a collaborare con Filippo Turati. Venne arrestata e condannata a cinque anni di confino in Sardegna.
Tornata a Milano nel 1930, durante una riunione clandestina conobbe il medico ed ex deputato socialista Dante Gallani, che sposò due anni dopo. Rimase vedova dopo solo quattro anni.
Entrata nella Resistenza, nel 1943, organizzò i Gruppi di difesa della Donna rischiando più volte la vita. Scriveva articoli sul periodico socialista clandestino Avanti! e organizzava l’insurrezione a casa sua.
Dopo la Liberazione, a Roma, entrò a far parte della direzione del Partito Socialista che le affidò la riorganizzazione delle scuole, nominandola commissaria all’istruzione.
Nel 1946 è stata una delle ventuno costituenti.
I suoi interventi nel dibattito costituzionale furono determinanti per la tutela dei diritti delle donne e il diritto di sciopero.
Nel 1948 venne eletta al Senato, insieme con tre altre donne, mentre nel 1953, alla sua seconda legislatura, sempre al Senato, fu invece l’unica donna. Nel 1958, eletta alla Camera, ha fatto parte della Commissione antimafia.
Fin dagli esordi della sua attività parlamentare ha dedicato tutti i suoi sforzi al miglioramento della condizione femminile in Italia e allo stanziamento di risorse per lo sviluppo dell’area del Polesine, devastata da una catastrofica alluvione il 14 novembre del 1951.
Uno dei punti cardine della sua opera politica è stata la battaglia per abolire la regolamentazione statale della prostituzione e disporre sanzioni nei confronti dello sfruttamento e del favoreggiamento. La legge venne approvata il 20 febbraio 1958.
Un lungo iter parlamentare, durato dieci anni, durante il quale emersero arretratezze culturali, ipocrisie e falsi moralismi e che venne discussa in aula quasi sempre in seduta segreta, perché si riteneva più opportuno e dignitoso evitare una discussione alla presenza della stampa e del pubblico.
Con tenacia e autorevolezza Lina Merlin ha saputo contrastare gli atteggiamenti sessisti dei colleghi parlamentari, non erano tempi facili per una donna al potere in un’epoca in cui la si voleva ancora relegare al ruolo di angelo del focolare.
Nel 1961 quando il partito, che si stava spostando sempre più verso la Democrazia Cristiana e il centro, si rifiutò di ripresentare la sua candidatura, lei reagì strappando la tessera e tenendo un durissimo discorso di commiato.
Entrata nel gruppo misto, si è ritirata dalla vita politica a 77 anni.
Ha fatto parte del comitato promotore del referendum abrogativo della legge che, nel 1970, ha introdotto il divorzio in Italia.
È morta a Padova il 10 agosto 1979.
La sua autobiografia è stata pubblicata dieci anni dopo la sua scomparsa, per iniziativa di Elena Marinucci, anche lei senatrice socialista.
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