Lina Bo Bardi è stata un’architetta e designer italiana naturalizzata brasiliana. Una delle figure più significative e rivoluzionarie dell’architettura del Novecento. Progettista combattiva e irrequieta, costantemente animata da un impeto di sperimentazione in cui impegno politico e sociale e l’attività professionale sono stati inscindibili.
Nata come Achillina Bo, a Roma, nel 1914 in una famiglia di origini genovesi, nel 1939 si è laureata in architettura alla Sapienza; l’anno successivo si è trasferita a Milano, dove iniziò la sua carriera nello studio di Gio Ponti.
Aprì poi il suo studio, che venne distrutto durante un bombardamento nel 1943. Dopo quell’evento, divenne attivista del Partito Comunista Italiano. Contemporaneamente iniziò un’intensa attività editoriale. Ha collaborato con «Tempo», «Stile», «Grazia», «L’Illustrazione Italiana». Nel 1944 con Carlo Pagani è stata vicedirettrice della rivista «Domus». L’anno successivo i due hanno fondato «Quaderni di Domus» e, con il sostegno di Bruno Zevi, la rivista «A-Cultura delle vita» per diffondere anche fra un pubblico più vasto un modo di abitare “razionale”. Ha partecipato alla resistenza, è stata tra i fondatori nel 1945 del Movimento Studi Architettura (MSA).
Ha documentato la distruzione che aveva colpito l’Italia negli anni di guerra, attraverso un reportage per il quotidiano Milano Sera, diretto da Elio Vittorini. Ha partecipato al Congresso Nazionale per la Ricostruzione. Con Bruno Zevi fondò il settimanale La Cultura della Vita.
Fu allora, quando le bombe demolivano senza pietà l’opera e il lavoro dell’uomo, che capimmo che la casa deve essere per la vita dell’uomo, deve servire, deve consolare e non mostrare, in un’esibizione teatrale, le vanità inutili dello spirito umano.
Nel 1946, insieme al marito Pietro Maria Bardi, invitato a dirigere il Museo d’Arte di San Paolo, si trasferì in Brasile, paese diventato la sua terra. Divenne cittadina brasiliana nel 1951 e nello stesso anno completò il suo primo edificio come architetta, la “Casa di Vetro”.
Lina Bo Bardi era convinta che la funzione dell’architetto debba prima di tutto essere quella di conoscere il sistema di vita della gente nelle proprie case e di risolvere attraverso la tecnologia le difficoltà che complicano la vita di migliaia di persone.
Per un architetto, la cosa più importante non è costruire bene, ma sapere come vive la maggior parte della gente. L’architetto è un maestro di vita, nel senso modesto di impadronirsi del modo di cucinare i fagioli, di come fare il fornello, di essere obbligato a vedere come funziona il gabinetto, come fare il bagno. Ha il sogno poetico, che è bello, di un’architettura che dia un senso di libertà.
Architettura, design, scenografia, museografia, cinema, attività editoriale e didattica, sono i settori in cui ha operato. Il suo ruolo nello sviluppo della cultura brasiliana è stato fondamentale. La sua azione era sempre indirizzata a favore della creazione di una cultura autentica, in grado di valorizzare le proprie radici.
Nel 1950 ha fondato con il marito la rivista quadrimestrale Habitat, incentrata sul tema delle arti e della cultura del Brasile e sulle sue riflessioni intorno al Modernismo.
Tra i suoi progetti più significativi c’è sicuramente il Masp, Museo di Arte Moderna di San Paolo, di cui il marito Pietro Maria Bardi fu il curatore. Un museo concepito non soltanto come contenitore di opere d’arte, ma come un luogo fatto per la gente. Un edificio dotato di spazi aperti, di pareti mobili, supporti e pareti trasparenti, con ambienti di relazione e incontro che favoriscono il dialogo sociale. Improntato a uno spiccato carattere divulgativo e didattico, ospita anche teatri e un auditorium.
L’edificio è ancora oggi un esempio insuperato di efficiente e straordinaria architettura museale, oltre che uno degli esempi più significativi dell’architettura moderna dell’America Latina.
La sua poetica è stata il rapporto tra natura e architettura, in forte anticipo sui tempi.
A San Paolo, tra il 1977 e il 1986, ha realizzato il suo progetto più impegnativo: SESC-Fábrica da Pompéia, opera di pubblica destinazione che vede realizzati tutti i principi nei quali Lina Bo Bardi ha sempre creduto: un’arte e un’architettura fatte dall’uomo per l’uomo.
In un’area industriale dismessa realizza un gigantesco centro sociale, ricreativo, culturale e sportivo, con teatri, biblioteche, laboratori fotografici, laboratori per la ceramica e per altre attività artistiche, studi musicali e spazi per la danza, con campi di basket e zone adibite ad altri sport di gruppo.
Tra il 1986 e il 1989 si è stabilita a Salvador de Bahia per redigere il piano di recupero del centro storico. Nel 1990 ha inizia il progetto per la nuova sede del Municipio di San Paolo terminato due anni dopo. Nel 1991, un anno prima della sua morte, ha partecipa alla selezione per la progettazione del padiglione del Brasile per l’Esposizione Universale di Siviglia del 1992.
Quella di Lina Bo Bardi è stata architettura dell’impegno civile, contro ogni moda fine a se stessa. Un’architettura dell’essere umano per l’essere umano; moderna e antica allo stesso tempo; popolare (amazzonica, meticcia, afro-latina) e colta; artigianale e non industriale; rispettosa delle tradizioni ma anche innovativa; razionale e, soprattutto, evocatrice di poesia.
Una figura poco conosciuta quell’architetta Lina Bo Bardi, una vita di impegno nella progettazione e nella costruzione di un sogno, creare edifici a misura umana e sociale.
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