Leonor Fini è stata un’artista poliedrica e cosmopolita del secolo scorso. Tanti i campi in cui si è cimentata, pittura, scenografia, scrittura, è stata illustratrice e disegnatrice.
Un tema costante che ha accompagnato la sua esistenza è stato quello delle maschere, del travestimento come gioco ma anche come fuga e stratagemma per sfuggire alle difficoltà.
La sua è stata una lunga vita vissuta con grande libertà assecondando i suoi impulsi e desideri. Ha scandalizzato, provocato, indomita e fiera. Amante del nero e di abiti ondeggianti, di cappe e mantelli, tanti scatti la vedono in posa come un’istrionica femme fatale.
Leonor Fini nacque a Buenos Aires il 30 agosto 1907, il padre era argentino di origini beneventane e la madre triestina di origini tedesche. I genitori si separarono presto e in maniera molto conflittuale. Aveva solo due anni quando sua madre scappò da quell’uomo violento riportandola in Italia, nella sua città natale. Il padre lottò fortemente per riprendersi la figlia, al punto da attuare un tentativo di rapimento. Per evitare che potessero portargliela via, la madre la portava in giro travestita da maschietto.
La consuetudine precoce al mascheramento, lasciò il segno in tutta la vita in cui creò per se stessa abiti concepiti come maschere, per scandalizzare, per nascondersi o per trasformarsi in una di quelle creature femminili quasi mitologiche che furono spesso al centro della sua arte.
Leonor Fini iniziò a disegnare fin da piccola. Una lunga malattia agli occhi che la costrinse a restare nell’oscurità per alcuni mesi, potrebbe essere stata la causa scatenante delle sue visioni oniriche.
Imparò l’anatomia nell’obitorio di Trieste, espose per la prima volta a 17 anni. Per un periodo si trasferì a Milano, dove fu in contatto coi più importanti artisti dell’epoca. Ebbe una relazione con Achille Funi conosciuto dopo aver creato un mosaico per il Palazzo della Triennale.
Dal 1931, Parigi divenne la sua patria d’elezione. Christian Dior, che ai tempi era un gallerista, le organizzò una mostra nel 1932 e le fece conoscere Elsa Schiaparelli, l’esuberante stilista con cui nacque una grande affinità culminata nel ’36 con la creazione della boccetta del profumo Shocking, fra i più famosi dell’epoca.
Entrò in stretto contatto con l’ambiente dei surrealisti, anche se non si unì mai ufficialmente al movimento, forse a causa degli atteggiamenti misogini del teorico del gruppo André Breton.
Tutta la sua vita e la sua carriera artistica furono all’insegna della libertà e della sperimentazione, per misurarsi nei territori creativi più diversi.
Si legò sentimentalmente allo scrittore André de Mandiargues, presentatole da Henri-Cartier Bresson: un legame libero e costellato di viaggi. Peggy Guggenheim la introdusse al MoMa di New York dove partecipò alla mostra Fantastic Art, Dada and Surrealism.
Sposò Federico Veneziani da cui si separò presto. In uno dei suoi viaggi nel Principato di Monaco, durante una prima teatrale conobbe il console Stanislao Lepri che, innamoratosi follemente di lei, decise di lasciare la sua professione per dedicarsi alla pittura. Tornata a Roma, firmò i costumi di varie opere liriche, e strinse un’amicizia con Elsa Morante che durerà tutta la vita. Ben presto la neonata coppia si trasformò in un trio in cui entrò a far parte uno scrittore polacco, Kostantin Yelensky. Il loro fu un indelebile triangolo amoroso, una convivenza che durò per ben trentasette anni, fino alla morte di Lepri, nel 1980.
In seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale, dopo essere stata ospite di Salvador Dalí, nel Nord della Francia, tornò in Italia. A Roma divenne la protagonista della ritrattistica ufficiale del bel mondo capitolino. Alternava la mondanità cittadina a lunghi soggiorni estivi passati presso la torre di Anzio, sul lungomare laziale oppure presso il monastero abbandonato di Nonza, in Corsica. Qui riuniva i suoi amici più intimi per dei veri e propri sabba basati sul travestimento, sulla fotografia, sulla pittura e sul disegno.
A Parigi è stata protagonista di mostre internazionali, venne ritratta da Dora Maar e Man Ray, Lee Miller e Cecil Beaton. Per Les demoiselles de la Nuit, Leonor Fini creò costumi e maschere ispirati a una delle più grandi passioni della sua vita, i gatti. Anche Federico Fellini, fu affascinato dalla sua figura,le fece disegnare i costumi di una scena di Otto e mezzo.
Negli anni romani spiccano i ritratti di Alida Valli a seno scoperto, di Valentina Cortese e dell’amica Anna Magnani.
Verso la fine degli anni settanta, le scelte di Leonor Fini si spostarono verso tematiche più introspettive, la cosiddetta Kinderstube, la Camera dei ricordi, figure femminili sospese tra la sfinge e la bambola circondate da esseri inquietanti e asessuati che sembravano uscite da un allestimento teatrale per un’opera di Ibsen.
Negli ultimi anni della sua vita si ritirò in una fattoria nella valle della Loira assieme ai suoi 19 gatti.
Si spense il 18 gennaio 1996 a Parigi. Per rendere un ultimo poetico omaggio al suo amore, dispose di essere seppellita tra i suoi due amanti. Aveva fatto costruire un piccolo mausoleo a tre per restare con loro in un abbraccio eterno.
Il suo legame con il teatro, i suoi romanzi surrealisti, la sua passione per il disegno e la fotografia, i suoi tanti amori, il suo essere libera e dissacrante, come il suo originale concetto di fedeltà e l’amore per la vita, mostrano una personalità unica che, valicando i confini dell’arte si è collocata di diritto tra le figure più interessanti del Novecento.
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