Io sono cento per cento marocchina e cento per cento francese. Attraverso il mio lavoro, cerco di dar voce a tutte quelle donne marocchine che hanno voglia di raccontare la rivolta per poter disporre liberamente dei propri corpi, sperimentare l’uguaglianza con gli uomini all’interno della sfera pubblica e non sentire più la pressione sociale.
Leïla Slimani è una scrittrice nata a Rabat nel 1981, trasferitasi a Parigi per studiare scienze politiche. Ha iniziato la sua carriera come giornalista coprendo i conflitti della Primavera Araba in Tunisia, dopo un arresto, ha deciso di dedicarsi alla scrittura, mantenendo uno sguardo tagliente sulla società contemporanea francese e marocchina.
Ha vinto il Prix Goncourt nel 2016 con il suo secondo romanzo Ninna nanna, diventato un best-seller internazionale. La sua rapida carriera, tutta in ascesa, l’ha consacrata tra le scrittrici francesi contemporanee più interessanti, impegnata a favore del multiculturalismo e dell’europeismo. Oggi è presenza costante nei programmi radiofonici e nei principali dibattiti culturali francesi. Il Presidente Macron le aveva proposto il ministero della cultura, offerta declinata per il ruolo di rappresentante della Francofonia nel mondo.
Nei suoi romanzi si è interrogata in maniera sempre più partecipata su questioni centrali al femminismo decoloniale, in particolare sull’influenza che appartenenza etnica, religione e retaggio culturale e storico hanno sulla ridefinizione delle priorità nella pratica e nell’agenda politica femminista delle donne marocchine.
La retorica vuole la condizione della donna dipendente dalle classi sociali e dalla differenza geografica; ma la cronaca dimostra che anche nei paesi civili le donne vengono ammazzate, sfigurate con l’acido, meno pagate dei colleghi uomini oltre a essere meno presenti nei ruoli di potere.
Come scrittrice, mi interesso alle sfumature e all’incerto poiché la verità sta nel mezzo. Ciò che è certo è che il patriarcato non conosce religione, geografia o colore di pelle. Ovunque, l’odio verso le donne conduce alla violenza, al delitto, alla negazione della loro libertà. Ecco perché la lotta femminista deve essere universale.
Il razzismo è come il patriarcato: un abominio che esiste ovunque e contro cui bisogna ancora lottare. Se si prende il caso George Floyd, non si fa fatica a immaginare un poliziotto criminale prendersela con un uomo nero anche in un paese europeo e ucciderlo. Ma negli Stati Uniti, il problema è strutturale, non individuale. La polizia ha giocato un ruolo essenziale nella segregazione dei neri e nell’incarcerazione di massa delle popolazioni nere e latine. C’è tutto un sistema da buttare giù.
#unadonnalgiorno