Ha pagato con l’esilio, la prigione, è stata minacciata di morte, controllata, le è stato impedito l’ingresso in diversi paesi, ma non si è mai arresa. Ha girato il mondo per raccontare le condizioni di vita della popolazione palestinese, per denunciare il genocidio e organizzare la solidarietà.
Ha fatto parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, del Consiglio Nazionale Palestinese e dell’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi, presenziando regolarmente al World Social Forum.
Nata a Haifa, il 9 aprile 1944, durante l’esodo palestinese nel 1948, si era trasferita in Libano con la famiglia.
La sensibilità politica, che l’ha accompagnata per tutta per la vita, è iniziata presto. A 15 anni si è avvicinata all’organizzazione panaraba Movimento Nazionalista Arabo e poi particolare nel ramo locale, che dal 1967 è stato chiamato Fronte di Liberazione.
Dopo il diploma ha studiato all’Università americana di Beirut, senza riuscire a completarla per difficoltà economiche. Per un periodo ha vissuto in Kuwait, dove ha lavorato come insegnante fino al suo addestramento militare speciale in Giordania.
Alla fine degli anni Sessanta è balzata agli onori delle cronache per essere stata la prima donna ad aver compiuto due dirottamenti aerei, attività scelta, ai tempi, dal Fronte come arma di pressione politica.
Il 29 agosto 1969, ha dirottato a Damasco un Boeing 707 della compagnia statunitense TWA. Mentre era al comando, aveva ordinato al pilota di sorvolare simbolicamente Haifa, in modo da poter vedere dall’alto i luoghi della sua prima infanzia, a cui non avrebbe avuto più accesso. Nell’episodio non vi furono morti o feriti, ma l’aereo venne fatto saltare in aria dopo aver fatto sbarcare le persone presenti a bordo.
Diventata celebre grazie a una fotografia del 1970 scattata da Eddie Adam in un campo profughi in Libano, che la ritraeva con la kefiah e un AK-47 in mano, il suo volto aveva fatto il giro del mondo rendendola un’icona rivoluzionaria. È dovuta ricorrere a diverse operazioni chirurgiche per rendersi meno riconoscibile.
Il 6 settembre del 1970 ha partecipato a uno dei quattro dirottamenti simultanei di Dawson’s Field. Attacco sventato dall’intervento di un agente delle forze di sicurezza israeliane presente a bordo che aveva ucciso il suo collega, il nicaraguense Patrick Argüello prima di riuscire a sopraffarla. Aveva con sé due granate a mano ma non le ha usate, per non ammazzare o ferire nessuno. L’aereo venne fatto atterrare a Londra e lei venne consegnata alle autorità britanniche che l’hanno detenuta e poi liberata nell’ambito di uno scambio di ostaggi.
L’anno seguente il FPLP ha abbandonato la tattica dei dirottamenti aerei.
Ha continuato la lotta non più come combattente ma come attivista politica di fama internazionale. Ha girato il mondo per tenere conferenze sulla situazione palestinese e nel Medio Oriente, è stata ospite costante di Al-Jazeera.
Suoi interventi sono stati più volte cancellati e al centro di grandi polemiche che hanno coinvolto politica e istituzioni.
La donna simbolo della militanza palestinese, ispirazione di tante giovani degli anni Settanta che ne ammiravano il coraggio e la determinazione, è attualmente in coma in seguito a un’emorragia cerebrale e sta lottando tra la vita e la morte in Giordania, dove vive da molto tempo con la sua famiglia.
Leila Khaled, col suo coraggio e audacia, resta una figura di primo piano nella lotta per la determinazione del popolo palestinese.