Lisetta Carmi, immensa fotografa italiana, ci ha mostrato quello che la gente non voleva vedere.
Il suo lavoro è sempre stato strumento di indagine antropologica e di denuncia sociale.
Nata a Genova il 15 febbraio 1924, studia pianoforte sin da piccolissima e continua a farlo anche quando le reggi razziali le impediscono di andare a scuola perché ebrea e viene costretta a rifugiarsi in Svizzera con la famiglia.
È una concertista fino al 1960.
Suo padre le regala la prima macchina fotografica che diventerà per lei strumento per indagare il mondo.
Per tre anni lavora come fotografa al Teatro Duse di Genova. Il Comune di Genova le commissiona dei reportage sulle diverse realtà e problematiche sociali della città.
Dopo avere realizzato, nel 1964, un’ampia indagine sul porto di Genova, diventata una mostra itinerante, inizia un reportage sulla Sardegna, terminato negli anni settanta. Successivamente si reca a Parigi e da questa esperienza nasce il volume Métropolitain, libro d’artista contenente una serie di scatti della metropolitana.
Durante una festa di Capodanno, nel 1965, viene a contatto con la realtà delle persone trans genovesi, che ai tempi venivano chiamate travestiti. Per cinque anni non smette di frequentarli. Ne diviene amica e condivide con loro i problemi della vita quotidiana. Il suo progetto, nel 1972, diventerà un libro, I travestiti che avuto una diffusione quasi clandestina, in quanto le librerie tenevano le copie nascoste per paura di ripercussioni.
“La polizia mi avrebbe arrestato con molto piacere, sapevano che ero figlia di una famiglia borghese. Una volta un poliziotto è andato da un travestito e l’ha interrogato: “Cosa fa Lisetta Carmi con voi, viene a letto?”, “No, non viene a letto, ci fotografa”.
Per la prima volta nella storia italiana, la comunità trans viene immortalata, nel proprio contesto, nelle proprie abitazioni. Le donne transessuali non erano soltanto delle foto segnaletiche ma ritratti umani nei contesti di appartenenza.
Per Lisetta Carmi, che a causa delle leggi razziali ha dovuto interrompere gli studi, il bisogno di comprendere il mondo coincide con quello di capire i motivi di quella segregazione traumatica e assurda.
Dalle sue immagini è bandita ogni forma di chiusura e di divieto. Non può esistere opposizione tra ciò che si può vedere e ciò che resta nascosto.
Lo scandalo era soprattutto aver fotografato i ‘travestiti’ con affetto e amicizia.
C’erano tutti gli ingredienti per inquietare i benpensanti: volti androgini, biancheria intima esibita come un segno di conquista, occhi eccessivamente truccati e sguardi ammiccanti.
Così come le loro case, un insieme di scenografie domestiche dentro cui esplodono corpi perturbanti. Le case, come le stive delle navi, si aprono e diventano i luoghi in cui si deposita la memoria e l’identità.
Nel 1969 Lisetta Carmi viaggia per tre mesi in America Latina, l’anno successivo va in Afghanistan e Nepal. Nel 1971 compra un trullo in Puglia, a Cisternino.
Nel 1976 conosce a Jaipur, in India, Babaji Herakhan Baba, il Mahavatar dell’Himalaya, un incontro che le cambierà la vita.
Lo stesso anno è in Sicilia per il volume Acque di Sicilia, dove sono raccolte immagini del paesaggio e della realtà sociale della regione, accompagnate da un testo di Leonardo Sciascia.
Negli anni realizza anche una serie di ritratti di artisti e personalità del mondo della cultura.
Successivamente, si dedicherà completamente alla costruzione dell’ashram Bhole Baba, a Cisternino, e alla diffusione degli insegnamenti del suo maestro.
Nel 1995 incontra, dopo trentacinque anni, il suo ex allievo di pianoforte Paolo Ferrari e inizia con lui una collaborazione di natura filosofico-musicale.
Nel 2010 il regista Daniele Segre realizza un documentario sulla sua vita dal titolo Un’anima in cammino, che sarà presentato al Festival di Venezia.
La differenza tra le sue foto e quelle del reportage degli anni Settanta sta nell’urgenza di dare corpo innanzitutto al suo travaglio interiore.
L’impegno di testimoniare, illustrare e documentare fatti e persone è un impegno prima di tutto verso di sé. È la ricerca di un dentro attraverso il fuori, la scoperta progressiva e autentica che “il personale è politico”.
Se la fotografia di quegli anni è una scelta di partecipazione politica e il fotoreporter è parte del movimento, le foto di Lisetta Carmi si collocano sul crinale tra ricerca e impegno, dove la ricerca non riguarda soltanto le angolature impreviste, i tagli arditi, i giochi di linee che caratterizzano molte delle sue immagini, quanto, soprattutto, il desiderio di partire da sé e di non farne mistero.
“Non ho mai cercato dei soggetti; (…) mi sono venuti incontro, perché nel momento in cui la mia anima vibra insieme con il soggetto, con la persona che io vedo, allora io scatto. Tutto qui.”
Quello che conta per Lisetta Carmi è l’incontro fra ella stessa e ciò che intende rappresentare, la sua prossimità con il mondo di coloro che non hanno né forza né voce.
L’atto di fotografare non è mai passivo ma un percorso lungo e incessante di cui la fotografia è solo uno dei sentieri seguiti.
Non vi è alcuna forma di compiacimento né di concessione agiografica. Semplicemente, con il suo sguardo solidale, Lisetta Carmi riesce a fondere bellezza e fatica.
Nelle sue fotografie non si vedono mogli e ragazze sottomesse, ma donne dalle forme procaci che incombono dall’alto.
Lisetta Carmi ha operato uno scarto della percezione, con il suo obiettivo e con tutto il suo essere, è entrata nella normalità delle persone ai margini.
Ha lasciato la terra il 5 luglio 2022.
#unadonnalgiorno