Kira Muratova, regista e sceneggiatrice, è stata un’importante protagonista del cinema sovietico e ucraino.
Sempre sotto il mirino delle autorità, le sue opere sono state censurate per oltre trent’anni.
Filmava le persone della classe povera con realismo e senso critico, con uno stile lontano dall’estetica dell’epoca.
Nacque col nome di Kira Korotkova a Soroca, in Moldavia, il 5 novembre 1934, da padre russo e madre rumena.
Dopo aver studiato filologia all’Università di Mosca si era diplomata al VGIK, l’università sovietica di cinematografia.
Dopo aver sposato il regista Aleksandr Muratov, di cui ha preso il cognome, si era trasferita con lui a Odessa, in Ucraina e insieme firmarono varie opere, tra cui il lungometraggio, Il nostro onesto pane.
Nel 1967, ha realizzato il suo primo grande lavoro cinematografico dal titolo Brevi incontri che è stato censurato e che ha segnato la sua indipendenza dal marito. Rappresenta l’inizio di un lungo discorso politico e rivoluzionario durato altri trent’anni che ha profetizzato il declino e la caduta dell’impero sovietico.
Anche il film successivo, Lunghi addii, del 1971, messo al bando dalla censura è uscito solo nel 1987 ricevendo il premio Fipresci al Festival di Locarno.
Il cinema di Muratova esplora le passioni e le ossessioni individuali. Trabocca di caratteri portati al limite della follia, con uno sguardo generoso sull’umanità, sul racconto personale, nella sua forma ed essenza più intima.
Tutti i suoi film mostrano una capacità sottile e arguta di osservazione dell’animo umano. Non c’è alcuna retorica o un abbellimento della realtà che appare incupita, degradata, spesso senza speranza.
È stato un cinema di personaggi, di sguardi, di primi piani, di silenzi dilatati, di nudità sgraziate, di sentimenti melodrammatici, di mutilazioni, di cani e di gatti, di urla di dolore, di umorismo mordace. Risulta evidente il pesante ostracismo subito dal regime sovietico che ha sempre cercato di boicottare la produzione e la distribuzione dei suoi film, intravedendo proprio nel suo sguardo sarcastico e poco indulgente il potenziale sovversivo.
Le sue opere sono rimaste, infatti, sconosciute al pubblico fino alla perestroïka, quando ebbero modo di riemergere, insieme a quelle di altri registi e letterati e iniziarono a circolare in diversi festival internazionali.
Nel 1990 ha fatto parte della giuria al Festival di Venezia e, nello stesso anno, vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino con il film Sindrome astenica.
Ha sempre voluto mantenere le distanze sia dal cinema hollywoodiano che da quello europeo d’autore proclamando quella indipendenza e unicità che l’hanno resa una figura determinante nel traghettare la Russia nella modernità.
Il suo ultimo lavoro Eterno ritorno (2012) parte da Nietzsche per svolgere una meditazione sull’arte e sulla vita, sulla uniformità e sulla molteplicità.
È scomparsa il 6 giugno del 2018 a Odessa.
I suoi film, in Italia, sono stati tutti trasmessi dal programma televisivo Fuori orario. Cose (mai) viste.
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