Karimeh Abboud, fotografa palestinese, è stata la prima donna araba a aprire un proprio studio all’inizio del XX secolo.
Nata a Betlemme, il 18 novembre 1893, sua madre era un’insegnante e suo padre un pastore luterano. Cresciuta in un ambiente multilingue e multiculturale parlava fluentemente l’arabo, l’inglese e il tedesco. Dopo aver appreso l’arte della fotografia da un fotografo armeno, suo padre, nel 1913 le regalò la sua prima camera con cui iniziò a ritrarre la famiglia e i luoghi che visitava seguendo il lavoro del genitore.
Dopo aver studiato letteratura araba all’Università americana di Beirut in Libano, si era creata uno studio fotografico a casa, guadagnando con foto di donne e bambini, matrimoni e altre cerimonie. A quei tempi, le donne non si facevano fotografare, non c’erano nemmeno le immagini sui documenti identificativi, per confermare l’identità di una donna titolare di passaporto, si era soliti unire al suo nome quello del marito o del padre, se non era sposata.
L’obiettivo di Karimeh Abboud, ha contribuito a cambiare le percezioni del tempo e contribuito a rompere vari stereotipi sul Medio Oriente.
I suoi ritratti e paesaggi sociali costituiscono un importante documento storico della vita in Palestina nei primi anni ’20 e ’30.
È morta di tubercolosi il 27 aprile 1940.
Karimeh Abbud non solo è stata la prima donna fotografa professionista, ma anche tra le prime a accantonare le tradizioni europee nell’arte del ritratto e della fotografia. Introdusse, infatti, nei suoi scatti, l’aura della normalità, le persone appaiono al meglio, ma in un contesto comune, non distanti da quelli del resto dell’Europa in quegli anni.
Importante è stato il suo contributo documentaristico della Palestina prima della Nakba.
Il suo nome è iniziato a circolare quando, nel 2005, è stata menzionata nel libro Laqtat Mughayira di Issam Nassar.
Ahmed Mrowat, direttore del Nazareth Archives Project, ha raccolto le copie originali del suo esteso portfolio dopo il ritrovamento di 400 stampe originali e firmate in una casa abbandonata a causa dell’occupazione israeliana a Gerusalemme da parte di un collezionista di antichità che gliele aveva vendute.
Sulla sua vita e gesta sono stati scritti libri ed è stato girato un documentario, Google le ha dedicato un Doodle ed è stato indetto un premio per giovani fotografi e fotografe che porta il suo nome.
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