Joni Seager è una geografa e attivista femminista, ex preside della Facoltà di Studi Ambientali della York University di Toronto e attualmente docente di studi globali alla Bentley University di Boston. Ha ottenuto il plauso internazionale per il suo lavoro nell’analisi delle politiche ambientali femministe, i costi ambientali delle forze armate e del militarismo e il genere e il cambiamento climatico.
Consulente di ONU e UNESCO su numerosi progetti di politica di genere e ambientale, inclusa la consultazione del programma ambientale sull’integrazione delle prospettive di genere in materia di catastrofi e sistemi di allarme.
È stata da poco pubblicata in Italia la traduzione del suo Atlante delle Donne, un libro che, a detta di Gloria Steinem, nessun uomo o donna dovrebbe fare a meno di avere.
Il saggio si può definire il compendio più aggiornato e completo su fatti e cifre che fotografano il mondo femminile in tutte le sfaccettature in ogni paese del Pianeta. Dalla salute alla politica, dall’educazione scolastica al lavoro, passando per disuguaglianze, maternità, sessualità, alfabetizzazione, ricchezza, povertà, potere, diritti, femminismo.
Un ambizioso progetto editoriale che, dal 1986, continua a mostrare visivamente al pubblico internazionale i termini della discriminazione e della disparità femminile attraverso mappe, infografiche e illustrazioni.
I temi sono disparati, dal corpo alla connettività. Ogni nazione si trasforma, da un nome su una cartina a una realtà che contiene informazioni, di cui, molto spesso, non abbiamo idea.
Infografiche colorate, cartine e schede sono la chiave per entrare in universo in cui, ancora oggi, le donne devono chiedere permesso a un uomo per uscire di casa; vengono costrette a interrompere gli studi per mancanza di politiche che le tutelino; subiscono violenze, spesso da parte del partner o in cui non possono praticare determinati sport.
Il meticoloso e ostinato lavoro di ricerca è nato dalla constatazione che la geografia comprendeva ogni cosa, eccetto le donne.
La tesi è che invece si devono rendere le donne visibili e leggere il mondo attraverso la loro lente.
Solo un terzo dei dati sono disponibili dalle fonti ufficiali internazionali (UNESCO e altre), il resto è raccolto da gruppi femministi locali, come quelli sul traffico sessuale di esseri umani e la pornografia.
Una sezione importante è dedicata alle relazione tra donne e ambiente: siamo abituati/e a pensare di essere uguali di fronte all’inquinamento, ma la verità è che l’occupazione degli spazi è un tema altamente caratterizzato dal punto di vista del genere. Chi abita più spesso gli spazi casalinghi sono le donne, che hanno molte più possibilità di morire a causa dell’aria domestica inquinata dagli agenti chimici e dalle biomasse.
Questo progetto è una rimappatura del mondo che prende le donne sul serio.
Il femminismo per me significa dare alle vite delle donne la stessa attenzione, la curiosità e l’analisi che ricevono le routine degli uomini. Le vite ordinarie di donne e uomini sembra che abbiano molto in comune, e talvolta ce l’hanno; ma la verità è che il modo in cui si formano delle relazioni, si guadagnano da vivere e si assicurano l’autonomia varia significativamente tra donne e uomini, nonché tra le stesse donne a livello intersezionale.
Il femminismo come è sempre stato rappresentato (cioè da donne bianche di classe media) non può più servire alla causa di emancipazione di tutte le donne nel mondo, e questo testo sembra confermarlo a gran voce.
Serve che le istanze femministe siano portate avanti trasversalmente per etnia, religione, classe sociale, disabilità e orientamento/identità sessuale.
Le donne non condividono automaticamente ampi avanzamenti sociali, a meno che ci sia un impegno per assicurarne l’uguaglianza. Le conquiste nella valorizzazione delle donne, non possono essere date per scontate: sono fragili, reversibili e sempre sotto pressione.
Dalla Polonia agli USA, dalla Nigeria alla Russia, le stanze del potere rimangono impassibili all’oppressione delle donne.
Ci servono leader civili e politici che costruiscano sopra le fondamenta femministe, per creare impegni reali e non retorici per la giustizia sociale a favore delle donne. L’attivismo femminista porta l’attenzione e nuove possibilità a tutti i tipi di problemi di giustizia sociale.
Il femminismo fa bene a tutti e tutte!
Non è vero che le condizioni sono uguali e che non serve più lottare, nemmeno quando si parla solo delle donne Europee.
A parità di ore di servizio il conduttore più pagato della BBC fattura 4 volte quanto la loro conduttrice più pagata. In Francia il 25% delle donne dichiara di aver subito violenza domestica almeno una volta nella vita. Se poi spostiamo lo sguardo a stati come il Sudafrica, l’India e la Turchia, i numeri assumono altre proporzioni.
Il 66% delle donne dell’Africa subsahariana centrale è stata vittima di violenza domestica (dati del 2010). Da un’indagine del 2011 è emerso che in Egitto 9 donne su 10, tra i 15 e i 49 anni di età, sono state sottoposte a mutilazione genitale femminile. In sud America, sud Africa, nelle regioni dell’Arabia e in Indonesia l’aborto è ancora illegale, o praticato solo per salvare la vita delle madri. Sono tutti dati che rivelano quanto ancora dobbiamo da lavorare. Un Atlante per riflettere sulla nostra realtà.
#unadonnalgiorno