Jane Jacobs è l’attivista americana che ha lottato contro i giganti della gentrificazione newyorkese per preservare la vita reale dei centri urbani.
Capelli a caschetto, occhiali rotondi, una voce pacata e una penna controcorrente, libera e indipendente capace di opporsi ai giganti dell’edilizia newyorkese degli anni ’50. Ha lasciato un’eredità che può essere utile ancora oggi per guardare alle nostre città.
Nata Jane Isabel Butzner (il cognome Jacobs lo prenderà dal marito) il 4 maggio 1916 a Scranton, in Pennsylvania. Si trasferisce a New York con la sorella Betty, trovando casa prima a Brooklyn, poi nel Greenwich Village. A 18 anni comincia a lavorare come segretaria e stenografa. Dopo poco inizia a scrivere i suoi primi articoli per la rivista Vogue occupandosi dei quartieri newyorchesi dei fiori, della moda, delle pellicce, dei diamanti. È solo l’inizio del suo fervente interesse per la vita della città e l’economia urbana.
Alla Columbia University segue per due anni corsi di legge, scienze politiche, economia, filosofia e scienze naturali, comincia a collaborare per Iron Age, rivista specializzata nell’industria metallurgica, per l’agenzia governativa Office of War Information e per Amerika, pubblicazione del Dipartimento di Stato.
La sua scrittura poco ortodossa, il suo pensiero libero e indipendente, il suo carattere insofferente all’autorità viene notata e per questo viene sospettata di simpatie comuniste alle quali risponde con una lettera in cui spiega di non essere politicamente schierata ma semplicemente una persona che crede nella libertà di espressione. Una pensatrice libera, insomma.
In quegli anni incontra Robert Jacobs, architetto, si sposano e insieme di trasferiscono in una casa su tre piani nel Greenwich Village dove crescono i tre figli Burgin, James e Ned.
Negli anni ’50 inizia a lavorare nella redazione di Architectural Forum dove ha modo di conoscere e approfondire i piani di rinnovamento urbano che in quegli anni stavano cambiando il volto delle città americane del dopoguerra, e di New York, nello specifico.
In questo periodo inizia la sua appassionata lotta per proteggere “il village” (il suo quartiere), da demolizioni, nuovi progetti residenziali e urbanistici, e dalla realizzazione dell’autostrada urbana Lower Manhattan Expressway. Non si trattava solo di preservare il vecchio paesaggio urbano ma di opporsi agli spregiudicati progetti dei grandi sviluppatori, tra i quali il gigante dell’edilizia Robert Moses, conosciuto nella città di New York come il “master builder” del XX secolo.
Nel 1958 pubblica per la rivista Fortune il saggio Downtown Is for People, in cui affronta per la prima volta, in maniera organica, gli effetti dei piani di rinnovamento urbano sulla vita reale della città. Pochi anni dopo, nel 1961, scrive Death and Life of Great American Cities (Vita e morte delle grandi città). Un saggio sulle metropoli americane.
Per sua stessa definizione il libro “è un attacco contro gli attuali metodi di pianificazione e di ristrutturazione urbanistica e soprattutto, un tentativo d’introdurre in questi metodi nuovi principi, diversi e addirittura opposti a quelli che vengono insegnati dappertutto nelle scuole di architettura e di urbanistica come nelle rubriche dei settimanali e delle riviste femminili”.
I principi di Jane Jacobs sono guidati da un approccio quasi etnografico, da un’osservazione diretta della vita sociale ed economica che si svolge in città, tra i negozi, le strade, sui marciapiedi, nei parchi. Sono famose le sue “passeggiate” nel quartiere, tanto che nell’anniversario della sua nascita (solitamente il primo fine settimana di maggio) numerose città di tutto il mondo organizzano una “Jane’s walk”, una passeggiata libera durante la quale le persone si riuniscono per esplorare e confrontarsi sulla vita dei loro quartieri, e per sviluppare un’educazione urbana e una progettazione incentrata sulle esigenze della comunità.
Si è occupata di “questioni semplici e comuni: ad esempio, quali specie di strade urbane siano sicure e quali no, perché certi parchi siano meravigliosi, mentre altri sono moralmente pericolosi; perché certi slums rimangano tali, mentre altri riescono a rinnovarsi spontaneamente, vincendo l’ostilità dei finanzieri e dei burocrati; quale sia la ragione per cui il centro della città si sposta; che cosa sia un vicinato urbano, e quali funzioni esso svolge in una grande città”. In breve, si occupa di come le città funzionano nella vita reale.
È il testo che, insieme alle sue manifestazioni e proteste per strada, la rende famosa come teorica e attivista che rovescia i tradizionali principi urbanistici, preferendo la “misura umana” al calcolo edilizio.
Alle proteste contro la gentrificazione e la pianificazione urbana separata dalla vita della comunità, si aggiungono nel 1968, le manifestazioni contro la guerra del Vietnam nella quale sarebbero stati arruolati anche i suoi figli.
In quegli anni, viene più volte arrestata e stanca di opporsi al governo federale decide di trasferirsi con la famiglia a Toronto dove ha continuato a scrivere, mettendo a punto le sue idee di vita e economia urbana, fino al 25 aprile del 2006 quando è morta, a pochi giorni dal suo novantesimo compleanno.
Il suo contributo sull’idea delle città a dimensione dell’essere umano più che basate sulla speculazione e il profitto, ha segnato un’epoca e fatto da apripista a un differente modo di pensare e rivedere l’architettura.
#unadonnalgiorno