In casa parlava francese e russo, studiò il latino, il turco e l’arabo, lingua con la quale ebbe una fitta corrispondenza con studiosi in Francia, Egitto e Medio Oriente.
Affascinata dal mondo islamico, di cui divenne una stimata grande studiosa, andò per la prima volta in Algeria a diciassette anni, insieme alla madre.
Circolava in abiti maschili, facendosi passare per uno studente tunisino, Mahmoud Saadi in omaggio a un poeta e viaggiatore persiano del XIII secolo.
Circolava in abiti maschili, facendosi passare per uno studente tunisino, Mahmoud Saadi in omaggio a un poeta e viaggiatore persiano del XIII secolo.
Le due donne avevano deciso di stabilirsi nel paese africano quando la madre morì e da quel momento Isabelle, che scriveva per varie riviste con lo pseudonimo maschile di Nicolas Podolinsky e progettava di fondare una scuola femminile, alternò i suoi viaggi con vari rientri in Europa.
Il suo primo libro fu Visione del Maghreb.
Viaggiava e scriveva, si spostava con qualunque mezzo, treno o in carovane su cammello o cavallo, sempre con nome e abiti maschili. Si innamorò di un ufficiale algerino di nazionalità francese Slimène Ehnni, che riuscì a sposare dopo infinite traversie.
Entrò a far parte della confraternita sufi del marito e per un periodo visse una condizione di ascesi, studio e tanta indigenza.
Entrò a far parte della confraternita sufi del marito e per un periodo visse una condizione di ascesi, studio e tanta indigenza.
Si ammalò di malaria e venne ricoverata nell’ospedale militare di Aïn Sefra. Quando uscì dal ricovero prese in affitto una piccola casa in argilla sulle rive del fiume, asciutto da anni, per incontrarsi col marito in licenza dal fronte.
Un tremendo e inatteso alluvione, arrivato da montagne a centinaia di chilometri di distanza, travolse la capanna e lei perse la vita.
Era il 21 ottobre 1904 e Isabelle Eberhardt aveva soltanto 27 anni. È morta annegata, paradossalmente, in pieno deserto del Sahara.