Han Kang è la scrittrice sudcoreana che ha vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 2024.
Ha iniziato a pubblicare negli anni Novanta ma ha travalicato i confini del suo paese soltanto nel 2016 quando, il suo romanzo La vegetariana ha vinto l’International Booker Prize.
Innovatrice della prosa contemporanea, con uno stile poetico unico e sperimentale, si confronta con traumi storici, esponendo la fragilità dell’esistenza, enfatizzando le connessioni tra corpo e anima, vita e morte.
Nata a Gwangju, il 27 novembre 1970, è figlia dello scrittore Han Seungwon che, come lei, ha vinto il Yi Sang Literary Award.
Si è laureata in letteratura alla Yonsei University e iniziato la sua carriera, nel 1993 come poeta, pubblicando una serie di poesie nella rivista Letteratura e società.
Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts.
Nel 2007 ha pubblicato La vegetariana, romanzo, estremo, provocatorio e affilassimo, che si incentra sulla figura di una donna resa anonima dalla società che ha intorno, che decide di diventare vegetariana e consumarsi in un turbine violentemente fiabesco che, dal rifiuto della carne, la porta a rifiutare ogni tipo di convenzione fino alla decisione estrema di perdersi nell’indifferenza vegetale. Il libro ha impiegato quasi un decennio prima di arrivare al pubblico internazionale.
Nel 2017 ha vinto il Premio Malaparte per il libro Atti umani che parte dalla durissima repressione di un corteo studentesco avvenuta nel 1980 a Gwangju, in seguito al colpo di stato e alla legge marziale, la cui ferocia descrive senza sconti e con una lingua che è potentemente letteraria e, insieme, realisticamente sanguinosa.
L’ora di greco del 2011 (in Italia nel 2023), accompagna una donna che cerca di recuperare la parola aggrappandosi all’estraneità del greco e a un professore immigrato tempo prima in Germania, riflettendo così sui margini invalicabili delle lingue nel definirci.
In italiano sono stati tradotti anche due racconti raccolti in Convalescenza, storie di due donne diversissime (una che elabora la morte della sorella e l’altra che si trasforma in una pianta), accumunate dalla volontà di riflettere sulla dissoluzione dei corpi, delle anime e delle relazioni.
Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito dal titolo Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson che vedrà la pubblicazione nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.
Il 10 ottobre 2024 è stata la prima autrice asiatica insignita del Nobel per la letteratura “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana“.
Il suo modo di scrivere, pur nutrendosi delle proprie radici e senza perdere la propria identità, ha il potere di dialogare attraverso il tempo e i luoghi. È capace di far risuonare le corde delle fragilità umane, avvicinare realtà diverse, arricchire e rafforzare nello scambio reciproco delle differenze. La sua opera, con precisione puntuale e con altrettanta fantasmagoria espressiva, si dipana su punti, luoghi e occasioni in cui la nostra cultura e la nostra morale incontrano il limite, l’impossibilità e il crollo.
I suoi temi e personaggi girano attorno alla violenza, al dolore, alle costrizioni patriarcali e in fondo a tutte quelle occorrenze in cui l’umanità si ripiega su se stessa e cerca impreviste soluzioni di sopravvivenza.
La sua ultima fatica, del 2024, è Non dico addio, romanzo doloroso, lucido e poetico che narra la storia di tre donne, unite dal filo invisibile della memoria, che si rifiutano di dimenticare la storia dei massacri compiuti a Jeju, tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949, in cui trentamila persone vennero uccise e molte altre imprigionate e torturate.
Un libro in cui la frontiera tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile, sfuma fin quasi a svanire, che ella stessa ha definito «una candela accesa negli abissi dell’animo umano».