Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.
Avrò tra poco vent’anni, a trenta voglio avere raggiunto il mio sogno radioso quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda.
Sono piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto delle donne sarde che sono piccolissime, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le battaglie intellettuali.
Grazia Deledda è stata una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento e prima donna italiana a vincere il premio Nobel nel 1926.
Scrittrice intensa e feconda, esponente di Verismo e Decadentismo, interpretati alla sua maniera, ha scritto le storie della sua terra, la Sardegna.
Nata a Nuoro il 28 settembre 1871, era quinta di sette tra figli e figlie di una famiglia benestante che dopo la madre del padre ebbe notevoli difficoltà economiche. Dopo aver frequentato le scuole fino alla quarta elementare, Grazia Deledda proseguì gli studi con un precettore e da autodidatta, perché, al tempo, alle ragazze non era consentito frequentare le scuole superiori.
Cresciuta in una casa molto religiosa e conservatrice, la sua giovinezza fu segnata da una serie di dolorose tragedie familiari.
Ha imparato a parlare l’italiano verso i 20 anni, prima si esprimeva soltanto nella lingua sarda, e nonostante fosse osteggiata dalla famiglia, ha cominciato a scrivere sin da adolescente. Pubblicò la sua prima novella nel 1886, a quindici anni, su un giornale nuorese. Due anni dopo già collaborava con varie altri giornali e riviste, prima sarde e poi romane.
Il suo primo libro fu Anime oneste, del 1895.
Trasferitasi a Cagliari nel 1899, conobbe il mantovano Palmiro Madesani, che sposò pochi mesi più tardi spostandosi a vivere con lui a Roma dove continuò a scrivere e pubblicare romanzi. Ebbero due figli, Franz e Sardus.
Elias Portolu, uscito nel 1903, ottenne subito un buon successo e in pochi anni pubblicò moltissimi libri e opere teatrali, tra cui: Dopo il divorzio, Cenere, L’edera e Canne al vento.
Il suo successo fu tale che il marito si licenziò dal lavoro come funzionario al Ministero delle Finanze per diventare il suo agente.
Il verismo della sua narrativa, i toni cupi e l’ansia di liberazione delle sue opere, le storie di passioni primitive che ha raccontato nei suoi romanzi fecero breccia nella critica, anche all’estero, soprattutto tra gli scrittori russi.
Nel 1927, venne insignita del Premio Nobel per la Letteratura “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.
Il Nobel di Grazie Deledda fu tecnicamente quello del 1926, che la commissione aveva deciso di trattenere per un anno non avendo trovato un candidato adatto a riceverlo.
In 40 anni di carriera la scrittrice ha pubblicato 56 opere tradotte in molte lingue. È stata anche traduttrice, sua è una versione italiana di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.
Un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte il 15 agosto del 1936.
In un primo momento venne sepolta nel cimitero del Verano a Roma, ma nel 1959 i suoi familiari traslarono le spoglie nella sua città natale. Da allora sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Madonna della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene, che tanto aveva decantato in uno dei suoi ultimi lavori.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (nel rione Santu Predu), è oggi adibita a museo.
Cosima, quasi Grazia il suo racconto autobiografico rimasto incompiuto, è stato pubblicato postumo con il titolo Cosima.
Per potersi esprimere attraverso la scrittura e dare forma alle sue aspirazioni profonde, Grazia Deledda ha dovuto lottare contro la piccola e chiusa società di Nuoro in cui il destino della donna non poteva oltrepassare il limite di moglie e madre, ma non che negli ambienti contadini o provinciali del resto dell’Italia la situazione femminile fosse migliore.
I suoi temi principali furono l’etica patriarcale del mondo sardo e le sue atmosfere fatte di affetti intensi e selvaggi.
La sua narrativa si basa su forti vicende d’amore, dolore e morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità. Canne al vento, difatti, sono le vite degli esseri umani in preda a forze superiori.
È stata protagonista del travaglio della crisi epocale del mondo patriarcale (contadino e pastorale), incapace ormai di contenere e di promuovere le istanze affioranti nelle nuove generazioni.
Ha fatto esplodere le contraddizioni di una società ormai in declino, senza tradirne la radice identitaria profonda che la distingue da tutte le altre. Cosa che, nei primi anni le procurò non pochi nemici tra gli intellettuali suoi conterranei che non guardavano di buon occhi le sue descrizioni della società sarda che veniva fuori come terra rude, rustica e arretrata. Più recentemente le posizioni sono arretrate riconoscendo nella scrittrice l’alto valore letterario e identitario.
La scrittura di Grazia Deledda è moderna e ben si adattava alla narrazione cinematografica, dai suoi romanzi sono stati tratti diversi film già nei primi anni del XX secolo. Nel 1916, il regista Febo Mari aveva incominciato a girare Cenere con Eleonora Duse, film che non vide compimento a causa della guerra.
In Sardegna e non solo Grazia Deledda è stata omaggiata in tanti modi. Le è stato dedicato un cratere su Venere. L’artista Maria Lai nel 2012 le ha dedicato, a Nuoro, il monumento Omaggio a Grazia Deledda. In tutta la penisola le sono state intitolate tante scuole, parchi letterari, statue e dischi.
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