Goliarda Sapienza è stata un’attrice, poeta e scrittrice politica, struggente, visionaria, difficilmente etichettabile.
Nasce a Catania il 10 maggio del 1924 da Maria Giudice, figura storica della sinistra italiana, prima donna a dirigere la Camera del lavoro di Torino, e Peppino Sapienza, militante antifascista iscritto al partito socialista. Trascorre l’infanzia in un contesto familiare eccentrico, libero e anticonformista. Un clima di assoluta libertà da vincoli sociali, non ha frequentato nemmeno la scuola, per evitare che fosse soggetta a imposizioni e influenze fasciste. A partire dai sedici anni vive a Roma, dove studia all’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico. Il suo talento multiforme e versatile trova espressione prima nel teatro e nel cinema e poi nella letteratura. Negli anni Cinquanta e Sessanta è stata attrice di teatro e di cinema lavorando, tra gli altri, con Luchino Visconti (in Senso), Alessandro Blasetti e Citto Maselli, suo compagno di vita, idee e insegnamenti per diciotto anni.
Comincia a scrivere in età adulta, dopo aver abbandonato la recitazione. Il bisogno di esprimere se stessa attraverso la scrittura emerge in seguito alla morte della madre, avvenuta il 5 febbraio 1953. Questo distacco la segna profondamente portandola a una ricerca quasi ossessiva dell’immagine materna, in un processo di recupero memoriale che marca in modo costante il suo stile narrativo.
L’esordio letterario risale alla stesura, durante gli anni Cinquanta, delle poesie poi confluite nella raccolta Ancestrale. Nello stesso periodo si mette alla prova anche con la prosa, con i racconti di Destino coatto. Inizia, così, ad addentrarsi nel campo della scrittura autobiografica.
Il suo primo romanzo è Lettera aperta (1967), che racconta l’infanzia catanese, seguito da Il filo di mezzogiorno (1969) che racconta di una giovane attrice, la depressione, l’insonnia, l’elettrochoc e un’analisi poco ortodossa.
Nel 1980 finisce in carcere per un furto di oggetti in casa di amiche. In galera scrive, pubblicando molto poco, L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio.
Il carcere è uno «sconosciuto pianeta che pure gira in un’orbita vicinissima alla nostra città. Di questo pianeta tutti pensano di sapere tutto esattamente come la Luna, senza esserci mai stati. Perché chi ha avuto la ventura di andarci, appena fuori si vergogna e ne tace o, chi non se ne vergogna, si ostina a considerarla una sventura da dimenticare.
Queste sue parole ci introducono nella città penitenziaria vista dai suoi occhi e raccontata nel suo libro L’università di Rebibbia. Con questa descrizione, la scrittrice prende le distanze dalla società che l’aveva messa all’indice e reclusa.
Sono da così poco sfuggita all’immensa colonia penale che vige fuori, ergastolo sociale distribuito nelle rigide sezioni delle professioni, del ceto, dell’età, che questo improvviso poter essere insieme – cittadine di tutti gli stati sociali, cultura, nazionalità – non può non apparirmi una libertà pazzesca, impensata.
Pare che Goliarda avesse commesso un reato con l’intento di finire in carcere. D’altronde, sua madre – che aveva fatto la storia politica femminile dell’Italia, all’inizio del ‘ 900 – finita in carcere per motivi politici, era solita dire che se nella vita non si conosceva l’esperienza carceraria o il manicomio non si poteva dire di aver vissuto realmente.
Si presume, quindi, che Goliarda abbai voluto seguire questo insegnamento. Resta il fatto oggettivo che il reato lo aveva compiuto anche per necessità, visto che era arrivata al punto di non riuscire più a pagare l’affitto. Nel capo d’accusa per ricettazione aggravata di preziosi, falsificazione di documenti e sostituzione di persona, non ci fu però nulla di romantico. Goliarda Sapienza aveva 55 anni quando fu portata a Rebibbia, con alle spalle un vissuto già consolidato eppure, nel microcosmo carcerario, tutto le appare nuovo; sentimenti, persone, oggetti.
L’arte della gioia, il suo libro più importante, è il frutto di un lavoro durato dal 1969 al 1976. Si rinchiude nella casa di Gaeta per molti anni e trascorre le sue giornate nella creazione del suo unico personaggio di finzione, Modesta, una donna libera sessualmente, ideologicamente e politicamente. Dopo un’intricata vicenda editoriale e un’infinita serie di rifiuti, la prima parte de L’arte della gioia viene pubblicata nel 1994 presso Stampa Alternativa, che nel 1998 propone la versione integrale. Il caso Goliarda Sapienza esplode in Italia dieci anni dopo, nel 2008, a seguito della scoperta del capolavoro all’estero.
Di recente sono stati pubblicati gli scritti teatrali, Tre pièces e soggetti cinematografici del 2014, e il romanzo Appuntamento a Positano nel 2015. In queste opere emerge con evidenza la centralità dell’esperienza cinematografica non soltanto come snodo centrale della sua biografia, ma anche come fonte di ispirazione che suggerisce alla sua scrittura immagini, temi, figure.
Negli ultimi anni della sua vita è stata docente di recitazione presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Anticonformista e irriverente, quasi come la libertina Modesta del suo romanzo più famoso, un’autobiografia immaginata, Goliarda Sapienza è morta settantaduenne a Gaeta il 30 agosto del 1996. Sulla sua lapide, c’è una sua poesia, un testamento, un’eruzione vulcanica: Non sapevo che il buio non è nero che il giorno non è bianco che la luce acceca e il fermarsi è correre ancora di più.
Dal 2010 è stato istituito il “Premio Goliarda Sapienza”, un concorso letterario rivolto alle persone detenute, con il coinvolgimento diretto di scrittori, scrittrici e artisti/e nelle vesti di tutor.
Tra i personaggi ‘irregolari’ del ‘900 – outsider per ragioni caratteriali o stilistiche o mentali o ideologiche – non si può non ricordare Goliarda Sapienza che, dopo tante discese e risalite, è assurta al rango di autrice classica dopo una lunga “militanza” fra inclassificabili, eclettici ed eccentrici.
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