Ciò che mi aspetta è nella mia anima e nella musica alla quale mi abbandono come esperienza totale: senza confine.
Giuni Russo è stata una grandissima cantante italiana che ha sublimato il canto lirico nel pop, grazie a un’estensione vocale di quasi cinque ottave. Elegante e ricercata, colta e leggera al tempo stesso, outsider di lusso o fenomeno pop, all’occorrenza, è stata un’emozione in musica rara e impossibile da trattenere. Una bellezza androgina, un’eleganza innata e le idee chiare su cosa voleva e faceva.
Giuni Russo è il nome d’arte di Giuseppa Romeo nata a Palermo, penultima di dieci figli, il 7 settembre 1951.
Durante l’infanzia respira in casa una grande passione per il canto e la musica in generale: jazz, classica e lirica sono all’ordine del giorno in una famiglia dove il papà, pescatore, e il nonno sono entrambi baritoni, la mamma Rosa è un soprano naturale. Insomma, la strada nell’arte sembra già spianata ai tempi della culla, quello che non sa ancora, però, è che si rivelerà tutta in salita e più accidentata del previsto.
Ancora giovanissima inizia a studiare seriamente canto e composizione e nel frattempo, a soli dieci anni, per pagarsi il maestro di musica dà una mano in una fabbrica di aranciate, pur di non gravare troppo su un budget domestico di per sé già molto ristretto. Sogna Aretha Franklin e Maria Callas, le sue preferite. Poco alla volta comincia a perfezionare capacità vocali che via via affiorano evidenti.
Nel 1967 partecipa e vince il Festival di Castrocaro interpretando, in coppia col ferrarese Elio Gandolfi, “A chi” di Fausto Leali. Guadagna così il diritto di partecipare alla diciottesima edizione del Festival di Sanremo: è il 1968, per l’occasione si presenta come Giusy Romeo e canta “No amore“, brano che viene bocciato dalla giuria popolare e non riesce a raggiungere la serata finale. Tuttavia la Columbia Records la adocchia lo stesso e decide di farne quello che rimarrà il suo primo singolo edito in assoluto, “No amore/Amerai” (distribuito anche sul mercato estero, entrambi i brani però non troveranno mai posto in album ufficiali se non in alcune collection uscite poi postume). Seguono “L’onda“, e “I primi minuti“, versione italiana di “I Say A Little Prayer” dell’amata Aretha Franklin.
I suoi diciotto anni li festeggia a Tokyo, nel 1969, durante un piccolo tour di tre mesi a spasso per il Giappone, sbarca poi a Milano, sua futura città d’adozione, dove si trasferisce in pianta stabile.
Nel capoluogo lombardo avviene l’incontro della sua vita, con la musicista sarda Maria Antonietta Sisini, che per oltre trentacinque anni rimarrà il suo principale punto di riferimento, compagna e collaboratrice, oltre che sua paroliera, produttrice autrice e manager. La loro sarà una comunione sentimentale e artistica di rara longevità, una simbiosi intellettuale inossidabile al tempo.
La lunga gavetta ha inizio nel 1972, Giusy cerca di sbarcare il lunario come può, prestandosi prima ai cori per Adriano Celentano, collabora col gruppo progressive italiano Il Balletto di Bronzo.
Nel 1974, firma un contratto con l’etichetta tedesca BASF che le suggerisce di modificare il nome d’arte in Junie Russo, nel tentativo di dare una visibilità internazionale alle future produzioni, ragion per cui Love Is A Woman, suo debutto ufficiale nel 1975, viene scritto completamente in inglese. La casa discografica, visto lo scarso successo di vendite, decide di ritirarlo dal mercato dopo averne stampato appena qualche manciata di copie, oggi è diventato materiale da collezionismo.
Per un periodo è compositrice/co-autrice dietro le quinte al servizio di altri artisti, italiani e internazionali.
Comincia a collaborare con Alberto Radius, produttore romano che la presenta a Franco Battiato che le cuce addosso dei brani che calzano a pennello tanto al suo standard di artista non convenzionale, originalissima e mai asservita ai voleri del mercato, quanto al piacere di un pubblico più ampio.
Energie viene dato alle stampe nel 1981, è il primo disco a nome Giuni Russo e quello più incensato da pubblico e critica, summa di una rara comunione di intenti e di un progetto totalmente visionario, il suo album più rappresentativo.
È il periodo di capelli corti, occhialoni scuri, divise militaresche, del kitsch da hit parade o del pop sperimentale, degli intellettualismi d’alta classifica e molto altro ancora. Un disegno unico e rivoluzionario, echi punk e totale libertà di espressione in cui l’artista mostra tutta la sua straordinaria vocalità.
Acquisisce finalmente una certa popolarità, fascino androgino e carisma da vendere la portano alla ribalta, inizia un lungo giro promozionale dell’album, a spasso tra radio e ospitate in tv. Nel 1982, Battiato scrive per lei un altro brano, “Un’estate al mare” destinato a rimanere il suo più grande successo discografico di sempre, oltre che presenza fissa ai piani alti della Top Ten dal 7 agosto sino al 20 novembre dello stesso anno.
Quella che doveva essere solo una parentesi passeggera, si rivela un’arma a doppio taglio e Giuni Russo rimane intrappolata in un cliché balneare di cui farebbe volentieri a meno.
Nel 1984 esce Mediterranea, delicata e preziosa visione d’insieme su una concezione artistica totale.
Le divergenze e i continui contrasti con Caterina Caselli, che dirige la sua casa discografica, si trascineranno in sede legale. Alla fine, dopo tanti scontri, si risolverà solo con una risoluzione del loro rapporto.
Scevra da impegni e obblighi di facciata, Giuni Russo partecipa alla serata di gala “Aid For Aids“, tenuta il 20 novembre 1985 al Teatro Ciak di Milano, (raccolta fondi benefica per la lotta all’Aids, supportata anche da Eva Robin’s, Loredana Bertè, i Righeira, Bruno Lauzi e tanti altri). Firma con la piccola Bubble Records/Cinevox.
Esce l’omonimo Giuni nel 1986 che raccoglie tutto quel materiale lasciato in stand-by da circa un anno, lo stesso che aveva dato origine alla querelle con la precedente etichetta discografica e contiene la famosissima “Alghero“, che grazie alle numerose incursioni radio-tv a lungo andare la renderanno un evergreen degli anni Ottanta.
Nel 1987 esce Album, in “Adrenalina“, canta in duetto con Donatella Rettore. Personalità artistiche apparentemente agli antipodi, riuscirono a conquistare un discreto successo.
Comincia per Giuni Russo un progressivo e irreversibile allontanamento dalla scena mainstream. Il disco successivo è A casa di Ida Rubinstein, del 1988, una sorta di ritorno a casa per la musicista, stanca di calcare palcoscenici che in fondo non ha mai sentito suoi e libera finalmente di dedicarsi a ciò che più ama.
Un brusco cambio di rotta e il primo esempio in Italia della cosiddetta “musica di confine“, crocevia universale di generi e contaminazioni che nel corso gli anni Novanta sarà riproposto da tanti altri interpreti.
Il disco combina insieme la sua innata passione per lirica, jazz, classica e musica da camera. Se già prima erano rimasti in pochi ad offrirle un contratto, per quest’album non c’è davvero nessuno disposto a farsi carico delle spese di produzione, sennonché le viene incontro in extremis l’amico Battiato, che scende in campo personalmente e lo fa distribuire attraverso un’etichetta di sua proprietà.
L’album non raccoglie le meritate attenzioni.
L’idea è quella di rileggere in chiave personale famose arie ottocentesche di Bellini, Verdi e Donizetti, con un unico comune denominatore, la voce nitida e trasparente della cantante, sottilissimo raccordo dei continenti musicali più diversi, punto di passaggio ideale tra tardo-romanticismo e modernità, cultura folk e echi dal passato, lande deserte e territori ancora inesplorati. In sintesi, un grammofono da salotto buono ma non-snob, come da indole di quest’artista di caratura superiore ma mai arrogante nelle intenzioni e con lo sguardo sempre rivolto anzitutto alla gente comune.
Alla pubblicazione dell’album segue una tournée che la vede impegnata a esibirsi con prestigiosi enti lirici e associazioni culturali.
Durante i primi anni Novanta la cantante siciliana intraprende un lungo cammino di ricerca interiore che la induce ad abbracciare una profonda religiosità, grazie alla quale, più avanti, saprà accettare i terribili giorni della malattia con grande dignità e in armonia con se stessa. In questo periodo della sua vita legge molto, si interessa di teosofia ed esoterismo, riscopre Ermete Trismegisto e la Tavola smeraldina, i mistici orientali e molto altro ancora. Ma sono soprattutto i testi sacri ad accompagnarla in questo percorso contemplativo e ascetico, affrontato mano nella mano ancora col suo alter ego Maria Antonietta Sisini. Rimane profondamente colpita dagli “Esercizi spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola, al punto che vuole metterli in pratica, così le due si recano in un monastero a San Sepolcro, vicino ad Arezzo, dove vengono introdotte e iniziate da un sacerdote gesuita. Nella biblioteca dello stesso convento entra in contatto anche con gli scritti di Santa Teresa d’Avila, fondatrice dell’ordine delle Carmelitane, la cui biografia “Fuoco di Castiglia” contribuirà in maniera decisiva nel suo avvicinamento alla fede cristiana.
L’album in questione è Se fossi più simpatica sarei meno antipatica, esce nel 1994 e raccoglie quanto seminato nell’arco di questo intenso periodo di riflessione. Il titolo dell’album riprende un verso del “Fortunello” di Ettore Petrolini ed è una frecciatina indirizzata all’industria discografica e a tutti coloro che, nel corso degli anni, hanno provato più volte a frenarne impulso artistico e slanci creativi. Di qui in avanti, ciascuno dei suoi brani non va più inteso come semplice “esibizione canora”, ma come vero e proprio palcoscenico ove dissertare di musica, letteratura, teatro o religione.
Volevano una canzonetta radiofonica, gli ho risposto che non ho canzonette nel cassetto e non ne cerco. Se devo fare la fame, per non cedere a compromessi, la farò. La mia forza è questa: non avendo marito né figli ai quali pensare, posso vivere con poco. E così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un’artista libera.
Il 1997 è un anno particolarmente intenso, prima si esibisce a Roma, su invito del sindaco Rutelli, durante una serata che inaugura i lavori di restauro e ammodernamento dei Fori Imperiali in vista del Giubileo 2000 (con lei Josè Carreras, Avion Travel e tanti altri).
Sempre nel 1997, nella Chiesa di Santa Maria dello Spasimo a Palermo, si tiene “Verba Tango”, spettacolo di musica contemporanea e poesia dedicato allo scrittore Jorge Luis Borges.
Nell’anno successivo, 1998, esce il live Voce prigioniera, che celebra nel migliore dei modi i suoi primi trent’anni di carriera con una dedica speciale. Si può leggere all’interno della copertina, e recita testualmente: “A Maria Antonietta Sisini… questo mio primo live lo dedico a te per l’insostituibile amicizia e per la tua grande pazienza. Grazie. Giuni“.
La battaglia più difficile di Giuni Russo ha inizio nel 1999, quando le viene diagnosticato il cancro, ma anche stavolta saprà lottare con coraggio e senza perdersi d’animo. La forza la trova nel Monastero delle Carmelitane Scalze, di cui diviene una “sorella” a tutti gli effetti, pur senza mai prendere i voti. Continua a lavorare senza sosta e a fare progetti, malgrado il dolore e la sofferenza siano atroci. Si sottopone a continui cicli di chemioterapia, cerca di non far trapelare la notizia e nel frattempo è ospite di alcune trasmissioni-dossier per la tv, dove, tra interviste e filmati d’archivio, viene ricostruita la sua intera vicenda umana e artistica.
Nel 2002, pubblica un nuovo live dal titolo emblematico, Signorina Romeo Live.
“Signorina per scelta, Romeo per la forza che ho. Un titolo così lo trovo simpatico, tutto qui, non c’è niente di ricercato. Mi piace l’ironia de ‘la signorina Romeo’, e io sono una persona molto ironica. Mi danno fastidio quelli che dicono che la ‘signorina’ oggi non esiste più ma esiste la ‘signora’. Ma dove? Non sono affatto d’accordo. L’isteria della signorina è ironica, per cortesia non mi tolgano il ‘signorina‘!”.
Tanti gli inediti, con testi estrapolati da letture sacre, le registrazioni si tennero per la maggior parte in luoghi di culto, come la Basilica di San Lorenzo o la Chiesa di Sant’Eufemia a Milano.
Ritorna al Festival di Sanremo 2003 dopo trentacinque anni di assenza con la canzone “Morirò d’amore“, scritta parecchi anni prima insieme a Maria Antonietta Sisini e Vania Magelli, con cui si classifica al settimo posto e riceve il premio per il miglior arrangiamento. È un’esibizione intensa e ricca di pathos, che resterà a lungo nel cuore della gente: da vera combattente, si era presentata sull’Ariston testa rasata e bandana, a sottolineare il suo stato di salute, ma soprattutto l’accettazione dello stesso, che diventava un alleato nella battaglia per l’arte. Il volto scavato dalla sofferenza, la testa decorata da arabeschi dipinti in henné, ma anche tanto orgoglio, dignità e l’incredibile forza di scherzarci su.
Un vero schiaffo morale a discografici e a quanti avevano provato ad ostacolarla.
Il male la riconcilia persino con la Caselli.
Il 1° settembre 2003 interpreta il classico partenopeo “Marechiaro” per la trasmissione “Napoli prima e dopo”, in onda su RaiUno: è in assoluto la sua ultima apparizione in tv.
Napoli che canta, pubblicato il 2 aprile 2004, è il suo ultimo album ufficiale e ha un significato particolare per la cantante, che lo dedica alla madre.
Giuni Russo se ne va la notte tra il 13 e il 14 settembre 2004, all’età di 53 anni. Secondo Sisini, è spirata fissando un angolo della stanza, sorridendo meravigliata come se ci fosse una presenza celestiale.
I suoi funerali si tengono presso il Monastero delle Carmelitane Scalze, a Milano, alla presenza di tantissimi amici, colleghi e collaboratori.
Alla sua prematura scomparsa fa seguito un lunghissimo tran tran di iniziative, la più importante delle quali è senza dubbio la nascita dell’Associazione Culturale “GiuniRussoArte”, unica ufficiale e autorizzata, fondata il 25 maggio 2005 da Maria Antonietta Sisini allo scopo di tutelare e promuovere, senza fine di lucro, il patrimonio artistico lasciato in eredità dalla cantante.
Nel 2006 esce un primo album postumo dal titolo Unusual, disco-tributo cui si prestano tanti artisti del panorama italiano e non solo. Il progetto nasce da un’idea di Maria Antonietta Sisini allo scopo di realizzare uno dei maggiori desideri di Giuni Russo, duettare con i suoi colleghi, cosa che non era mai riuscita a fare nell’arco della sua carriera, eccezion fatta per la sola accoppiata con la Rettore ai tempi di “Adrenalina”.
La sua figura è un ampio docu-film del 2007 curato insieme da Sisini e Battiato, la più ampia retrospettiva sulla vicenda umana e artistica della cantante, dove è lei stessa a raccontarsi in prima persona tramite filmati d’archivio, interviste e apparizioni televisive che vanno dagli esordi sino agli ultimi giorni.
Nel 2009 la romanziera e saggista sarda Bianca Pitzorno pubblica “Giuni Russo, da un’estate al mare al Carmelo“.
La grande artista palermitana è stata apprezzata e lodata persino dal Papa. Il 7 settembre 2013, Maria Antonietta Sisini trova nella cassetta della posta una lettera dal pontefice a cui poco tempo prima aveva inviato un cd e la biografia ufficiale dell’indimenticata amica.
Le parole del Papa verranno lette in pubblico qualche mese dopo, il 23 aprile 2014, in occasione della cerimonia di inaugurazione del “Mirador Giuni Russo”, lungo tratto di belvedere sul Golfo di Alghero che il comune sardo intitola alla memoria della cantante, in ricordo di quel legame speciale nato nel 1986, quando il celebre tormentone estivo aveva regalato alla cittadina grande notorietà e una pubblicità incredibile.
Un portento incredibile, un esempio di donna e di artista controversa, che non si è mai arresa neanche davanti all’impossibile, per la quale mischiare i linguaggi e le idee era un dono naturale. Conscia delle sue peculiarità canore Giuni Russo non ha mai smesso di sperimentare e di osare.
Animo irrequieto, non si è mai stancata di allargare le proprie conoscenze e provare nuove esperienze.
Una donna sempre in guerra: contro l’omologazione e le major, i giudizi e la malattia. La sua energia e la sua rabbia sono stati un ciclone che non tutti potevano capire, né accettare.
Per Giuni Russo non c’era barriera che non potesse essere abbattuta, anche se l’impresa si dimostrava ardua, piuttosto che darla vinta preferiva rompersi la testa.
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