Giuditta Levato è stata una contadina calabrese, vittima della lotta alla repressione agraria.
Lavorava duro e sognava un mondo più giusto, è stata ammazzata per aver rivendicato i suoi diritti.
Nata a Calabricata, in provincia di Catanzaro, il 18 agosto 1915, in una famiglia di contadini, crebbe dividendosi tra il lavoro nei campi e le faccende domestiche. A 21 anni sposò Pietro Scumaci con cui fece due figli, quando il marito partì in guerra toccò a lei occuparsi, da sola, dei campi per portare avanti la famiglia.
Nell’ottobre del 1944, il ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo emanò la riforma dei patti agrari, volta agarantire maggiori diritti per chi coltivava la terra. Questa garantiva ai contadini almeno il 50 per cento della produzione che andava divisa, il permesso di occupare terreni incolti a cooperative agricole, un’indennità per incoraggiare a consegnare i prodotti ai magazzini statali, ribattezzati granai del popolo, la proroga di tutti i patti agrari per impedire ai proprietari di sbarazzarsi nell’anno successivo dei loro fittavoli, la proibizione di figure intermediarie tra contadini e proprietari.
Il decreto voleva stabilire l’eguaglianza e il diritto alla terra a tutte e tutti.
Giuditta Levato, capì presto che bisognava lottare e si iscrisse al PCI, contribuì a fondare una sezione del partito, una cooperativa e, infine, una Lega.
Con un linguaggio semplice e persuasivo, riusciva a parlare ai braccianti del pensiero comunista come mezzo di liberazione degli uomini dal bisogno, dalle guerre e dallo sfruttamento.
Il 28 novembre 1946, quando si recò a lavorare, trovò Pietro Mazza, un latifondista che per affermare il suo potere, aveva deciso di far pascolare le sue mandrie sui terreni coltivati, rovinando tutti i raccolti.
Il suo delitto è rimasto impunito.
Giuditta Levato è stata la prima vittima della lotta alla repressione agraria; la violenza dei padroni si estese nel ’47 a Petilia Policastro e nel ’49 a Melissa.
Al capezzale della giovane contadina di Calabricata arrivò il senatore calabrese comunista Pasquale Poerio a cui ella rivolse le sue ultime parole:
“Compagno, dillo, dillo a tutti i capi, e agli altri compagni che io sono morta per loro, che io sono morta per tutti. Ho tutto dato io alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che sono partita per un lungo viaggio ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me per vendicarmi. A mio marito dirai che l’ho amato, e perciò muoio perché volevo un libero cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per cui hai tanto combattuto e sofferto. Ma tu, o compagno, vai al mio paesello e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata”.
Nel dicembre 2004 la Presidenza dell’Assemblea legislativa della Calabria ha intitolato l’ex sala consiliare dell’organo regionale a Giuditta Levato “In omaggio ad una donna che è stata protagonista del suo tempo ma soprattutto in omaggio a tutte le donne calabresi abituate a lavorare sodo e spesso in silenzio. In omaggio a tutte le donne che, pur non avendo molta visibilità perché occupate nel loro lavoro quotidiano, sono uno dei pilastri fondamentali della nostra società e che, al momento giusto, com’è accaduto appunto alla contadina di Calabricata, sanno sfoderare grinta e determinazione e diventare protagoniste del loro destino”.
Le è stata intitolata anche la sala conferenze del Museo Storico Militare di Catanzaro e varie strade in tutta Italia.
La sua storia, nel 2018, è raccontata nel libro “L’ape furibonda – Undici donne di carattere in Calabria“.
La sua storia è anche raccontata nel libro Giuditta Levato. La contadina di Calabricata di Lina Furfaro.
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