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Gianna Fratta direttrice d’orchestra che non ha problemi col femminile

Gianna Fratta direttrice d'orchestra

Gianna Fratta, direttrice d’orchestra e pianista italiana che non ha alcun problema col genere femminile per la sua professione.

Nata a Erba il 22 agosto 1973, ha deciso di diventare direttrice d’orchestra a nove anni.

Si è diplomata in pianoforte, composizione e direzione d’orchestra col massimo dei voti. È anche laureata con lode in giurisprudenza.

Da giovanissima intraprende la carriera pianistica vincendo numerosi concorsi nazionali e internazionali che la portano a esibirsi nei teatri più importanti del mondo.
Il suo debutto come direttrice d’orchestra è avvenuto nel 1998, da allora lavora con importanti orchestre.

Suona con l’Ensemble Umberto Giordano sin dalla nascita del gruppo col quale ha effettuato tournée in tutto il pianeta.

È stata la prima donna a dirigere i Berliner Symphoniker, l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, del Teatro Petruzzelli di Bari, quella della Fondazione Toscanini di Parma. Ha ancora diretto la Royal Academy di Londra e tante altre in ogni dove.

È titolare di cattedra di elementi di composizione al Conservatorio Umberto Giordano di Foggia, visiting professor alla Sungshin University di Seoul in cui insegna pianoforte e Opera Workshop, è docente ospite per master class in varie università nel mondo.

Gianna Fratta è direttrice artistica della stagione Musica Civica, otto conversazioni tra suoni e parole fin dalla sua nascita e direttora principale dell’ApuliaEnsemble.

Oltre alle numerose incisioni discografiche è stata protagonista di documentari e reportage che raccontano la sua attività e la sua vita, tra cui “Per la mia strada” che mostra otto donne eccellenti nelle loro professioni, lontane dai riflettori e dai rumori della visibilità, della politica, delle amplificazioni dei media. Modelli portati nelle università italiane, nei licei, in televisione che ha ottenuto una targa dalla Presidenza della Repubblica.

Nel 2009 è stata insignita del titolo di Cavaliera della Repubblica italiana per i risultati ottenuti in campo internazionale. Il 18 dicembre 2016 ha diretto in Eurovisione il Concerto di Natale al Senato.

Innumerevoli le onorificenze, targhe e menzioni ricevute nel corso della sua carriera.

A proposito della dichiarazione di Beatrice Venezi a Sanremo 2021, che ha sottolineato di voler essere appellata al maschile nella sua professione, ha dichiarato:

Su Rai Uno si veicola, in diretta, in prima serata, un messaggio pericoloso e diseducativo nella forma e nei contenuti, davanti a milioni di giovani.

Già li sento i vari “i problemi sono ben altri”, “pensate ai contenuti”, “le lotte non sono queste”, “ministra è cacofonico”, “il ruolo non ha sesso”. Ci combatto da una vita e grazie alle mie lotte di direttrice d’orchestra e alle lotte di tutte quelle prima di me, la signora di ieri può stare su un podio; cosa impensabile fino a qualche decennio fa.
Ma torniamo alla nostra lingua, a come, se ce ne fosse bisogno, può essere modificata per come si modifica la realtà, a come può diventare strumento di emancipazione, di cambiamento, di parità.
Riflettevo, ad esempio, sul fatto che nessuna SARTA si sognerebbe di dire “scusi, mi chiami SARTO, lo preferisco”, mentre ancora esistono avvocate, direttrici d’orchestra, ministre che rivendicano il cosiddetto “maschile professionale”, retaggio di una sottocultura che degrada il femminile.
Non è che siamo più autorevoli, credibili, competenti se ci facciamo chiamare col maschile, siamo solo meno consapevoli, dunque più insicure. Strano, poi, che più il lavoro è figo, altolocato, più numerose sono le donne dei no, scusi, preferisco ministro, prego, mi chiami ingegnere, per cortesia, direttore, per carità, avvocato.
Non è una rivendicazione femminista la mia, forse è una questione di politica di genere, ma soprattutto è una questione di consapevolezza. Non è una polemica o una battaglia sessista, tanto meno una recriminazione, è l’italiano, è la nostra lingua e come va usata, come, eventualmente può essere anche modificata con i cambiamenti sociali (ma non è questo il caso, perché il femminile di direttore c’è e può e deve usarsi).
I tempi sono maturi, anzi marci!
Non sentiamoci più fighe a farci chiamare avvocato o direttore, che rischiamo solo di passare per persone che hanno bisogno di sentirsi “maschi” per essere considerate brave, nel migliore dei casi, per ignoranti, nel peggiore.
E con noi chi ci asseconda.
Il cambiamento parte da noi! Dalle donne e dagli uomini capaci di cambiare il mondo. Dalle direttrici e maestre d’orchestra che sanno di esserlo! Da chi non vuole lasciare il pianeta che ha trovato, ma cambiarlo in un mondo migliore e più giusto per tutti. Un mondo in cui la parità viene anelata ad ogni livello, in ogni modo, con ogni mezzo e il combattimento alle disuguaglianze, intolleranze, discriminazioni altrettanto”.
#unadonnalgiorno

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