Gerda Taro è stata la prima fotografa di guerra della storia.
Ha saputo cogliere con coraggio e fatica, la sofferenza e la morte. I suoi scatti raccontano gli anni dell’antifascismo e della guerra civile spagnola.
Nacque a Stoccarda l’1 agosto del 1910 con il nome di Gerta Pohorylle da una famiglia ebraica di origini galiziane. Crebbe a Lipsia, dove frequentò una scuola superiore d’élite. Parlava correttamente tedesco, francese e inglese.
Ribelle e rivoluzionaria, non sopportava ingiustizie e oppressioni. Fin da giovanissima fece parte del Partito Comunista. Nel 1933, anno in cui Hitler divenne cancelliere, venne arrestata per la sua attività antinazista.
Uscita di prigione andò a Parigi dove frequentò gli intellettuali rifugiati, i letterati e politici del tempo sfuggiti al nazismo. Nel frattempo, lavorava come dattilografa e traduttrice. Lì incontrò Endre Friedmann, che diventerà il suo grande amore. Era un giovane fotografo ungherese di origini ebraiche famoso per essere stato il primo a fotografare il leader rivoluzionario Lev Trotsky in una delle sue prime apparizioni pubbliche in Occidente, dopo la rottura con lo stalinismo.
I due si innamorarono e lui le insegnò a fotografare. Per difendersi dall’antisemitismo la giovane donna ebbe l’idea di cambiare i loro nomi, diventarono così Robert Capa e Gerda Taro.
Con fantasia e intraprendenza gli diede una nuova identità trasformandolo in un famoso fotografo americano. In pochissimo tempo le maggiori testate dell’epoca si contesero i suoi scatti, la sua fama crebbe a dismisura.
Si consideravano cittadini del mondo disposti a rischiare la vita per documentare gli eventi attraverso i loro scatti.
Gerda Taro fu sempre in prima linea al fianco dei miliziani, lottando e soffrendo con loro, sprezzante del pericolo.
Fu l’esempio concreto di una delle più celebri frasi pronunciate dal suo compagno, che si trasformerà nel motto di ogni fotoreporter: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino”.
Robert Capa e Gerda Taro furono i cronisti visivi più celebrati della guerra civile spagnola. Insieme cambiarono la natura della fotografia di guerra. Scattarono centinaia di fotografie tutte pubblicate e firmate da Capa. Mentre lui diventava sempre più famoso, lei veniva ignorata. Scelse allora di proseguire la sua carriera da sola. Iniziò a lavorare per la rivista Ce Soir.
Fondò la sua etichetta, Photo Taro, collaborando con le più importanti testate dell’epoca.
Il suo occhio si soffermava sulle sofferenze della popolazione: donne, anziani, bambini in fuga dalla battaglia.
Nel 1937, le sue foto attirarono l’attenzione della stampa mondiale, mentre lei si trova a Brunete per documentare gli scontri al fronte spagnolo come inviata di Ce Soir. In Spagna tedeschi e italiani fecero le prove generali per la seconda guerra mondiale che sarebbe scoppiata dopo pochi anni. Per la prima volta in un conflitto fu coinvolta la popolazione civile, vennero bombardate a tappeto città e villaggi.
Il suo coraggioso e disinvolto approccio per ottenere immagini dell’azione dall’interno, le costò la vita.
Era l’estate del 1937, Gerda Taro stava tornando dal fronte di Brunete, aggrappata alla vettura di un generale polacco, quando uno stormo di aeroplani tedeschi iniziò a mitragliare il convoglio. L’auto sbandò e lei cadde, finendo sotto i cingoli di un carro armato. Ferita gravemente, durante il suo trasferimento all’ospedale di Madrid si mantenne le viscere con la pressione delle mani, preoccupata soprattutto che le sue macchine fotografiche fossero intatte. Aveva 26 anni. Morì all’alba del 26 luglio.
Al suo funerale, che si tenne a Parigi, parteciparono decine di migliaia di persone, Pablo Neruda lesse l’elogio funebre.
Robert Capa non si riprese mai veramente dalla sua morte. Continuò a inseguire la guerra finché cadde in Vietnam, durante la prima guerra d’Indocina, per colpa di una mina, nel 1954.
Una fotografia ritrae gli ultimi istanti di Gerda Taro, mentre un medico si prende cura del suo corpo esanime. Lo scatto è venuto alla luce solo 80 anni dopo grazie al figlio del dottore che l’aveva curata.
La storia più recente ha ridato voce a questa donna, per tanti anni anni caduta quasi nell’oblio, e il suo nome è tornato a risuonare potente nelle orecchie di mezzo mondo.
Diversi libri, canzoni, mostre fotografiche, hanno raccontato la vita della giovane fotografa cocciuta, elegante, sfrontata e ribelle fino alla fine.
Helena Janeczek l’ha raccontata nel libro “La ragazza con la Leica”, vincitore del Premio Strega e Bagutta nel 2018, un’importante ricostruzione della sua storia attraverso le parole e i ricordi di chi l’ha conosciuta.
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