Galina Balashova, architetta e pittrice russa, inventrice del design d’interni delle capsule per i voli nello spazio.
È stata la creatrice dell’estetica dell’intero programma spaziale dell’URSS, la mente creativa dietro ai progetti degli interni di quattro generazioni di cosmonavi.
Con la sua pionieristica opera – nessuno prima s’era cimentato nell’architettura e nel design di interni per lo spazio – Galina Balashova, unica donna in una squadra di soli ingegneri e tecnici, ha inaugurato una nuova branca delle scienze delle costruzioni, l’architettura cosmonautica.
Nata il 4 dicembre 1931 a Kolomna, ha studiato all’Istituto di architettura di Mosca. La sua carriera come architetta è iniziata nel 1955 presso l’istituto di design GiproAviaProm, dove il suo lavoro consisteva nella rimozione di elementi architettonici decorativi considerati “decadenti” dagli edifici residenziali.
L’avventura spaziale è iniziata nel 1957 quando è stata assunta all’Okb-1, l’agenzia spaziale sovietica. Partita dal progettare gli appartamenti per gli impiegati, nel 1963, le venne affidato il primo incarico di architettura extraterrestre, gli interni del veicolo spaziale Sojuz.
A differenza dei modelli precedenti, che prevedevano solo un’angusta cabina di pilotaggio, questo nasceva per consentire esplorazioni spaziali di maggiore durata, era quindi necessario creare al suo interno una vera e propria unità abitativa.
Galina Balashova divenne responsabile di tutti gli aspetti di design del primo monolocale nello spazio.
Al centro delle mie preoccupazioni vi è sempre stata quella di rendere il viaggio spaziale un’esperienza sopportabile per gli astronauti, non solo sotto il profilo fisiologico, ma anche psicologico: molte delle mie scelte estetiche, come l’uso di colori caldi e rassicuranti e un mobilio volutamente non “futuristico”, ma che ricordasse gli ambienti di casa, sono da ricondursi al mio desiderio di creare l’illusione che lo spazio fosse un ambiente meno freddo e inospitale e la Terra fosse un po’ meno lontana.
Gran parte del suo lavoro era poco noto perché classificato come top secret.
Galina Balashova si è ritirata nel 1991 dopo il crollo dell’Unione Sovietica, rendendo il suo lavoro non più un segreto di Stato e accessibile al pubblico.
Ancora oggi, la sua opera continua a influenzare l’industria aerospaziale: molte sue idee per la Stazione Spaziale Internazionale o per la stazione Mir trovano ampia applicazione, con poche modifiche, ancora oggi.
Nel 2018, negli Stati Uniti, per la prima volta, la vita straordinaria e le realizzazioni professionali di Galina Balashova sono state scoperte e sottolineate in discorsi presentati a conferenze internazionali organizzate da importanti università americane.
Ma si stenta ancora a riconoscerle i suoi meriti. Ad esempio, ha curato il design per spille da bavero utilizzate alla mostra Aérosalons in Francia nel 1973 divenute, in seguito, l’emblema ufficiale del progetto Apollo – Sojuz Test. Ma, con pretesto della sicurezza, non ha potuto apporre il suo nome sul disegno.
Quando le spille hanno iniziato a essere prodotte in serie in una fabbrica, senza l’approvazione del governo, i suoi superiori, che si consideravano i creatori dell’emblema, hanno addirittura minacciato di metterla in prigione per 8 anni “per tradimento dei segreti di Stato”. Si è potuta salvare firmando una dichiarazione di rinuncia ai pagamenti delle royalty per l’emblema.
Per fare un confronto, un maschio del dipartimento ha trovato l’emblema, lo ha riprodotto con un profilo esagonale e ha ricevuto decine di migliaia di dollari per il suo design, che era semplicemente una replica di quello di Balashova.
I risultati pionieristici di Galina Balashova sono illustrati in importanti volumi sul contributo delle donne all’architettura, ma il suo contributo ai progetti a gravità zero sono ancora raramente riconosciuti.
Insomma, a questa straordinaria designer, pioniera della progettazione dell’interno delle astronavi, e non solo, la Russia ancora non riconosce alcun merito.
#unadonnalgiorno