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Frances Farmer la ragazzaccia di Seattle che ha pagato caro la sua ribellione

Frances Farmer la ragazzaccia di Seattle che ha pagato caro la sua ribellione

Frances Farmer è stata un’attrice ribelle, chiamata nell’ambiente la ragazzaccia di West Seattle.

Le sue vicende di arresti e ricoveri psichiatrici, hanno tenuto con il fiato sospeso l’America negli anni 40.

Diva atipica, era distante anni luce dai canoni del cinema hollywoodiano dell’epoca.

La sua carriera è stata una vera e propria discesa nell’inferno dei vivi come lei stessa scrisse al termine della sua logorante esistenza, costellata di dolore, ma anche di successi e notorietà.

La sua figura è stata a lungo studiata e riproposta sul grande schermo, a lei sono stati dedicati tre libri e tre film, di cui uno interpretato da Jessica Lange (Frances del 1982).

Il suo vissuto ha inciso una traccia indelebile nell’industria cinematografica del tempo.

Frances Farmer nacque a Seattle, il 19 settembre 1913, a soli sedici anni già fece parlare di sé per God dies, un saggio antireligioso con cui vinse un concorso letterario. Successivamente e, contro la volontà della madre, era partita per un corso teatrale nella Russia comunista, lasciando tutti inorriditi.

In quegli anni di folle “paura rossa” bastava un semplice sospetto di simpatizzare per i movimenti radicali e della sinistra per essere schedati in liste segrete di sovversivi.

Tornata negli Stati Uniti, ha iniziato una rapida carriera teatrale, frequentando ambienti impegnati di New York per poi approdare al cinema.

A 27 anni aveva già partecipato con ruoli primari a 18 film, recitato in sette produzioni teatrali e tre commedie: la critica la considerava la nuova Greta Garbo. Per un breve periodo fece anche parte dell’Actor’s Studio.

Ma la sua propensione alla ribellione, unita all’attivismo politico, le scavò la fossa.

Nota per i suoi modi irascibili e impetuosi, dal 1939, ebbe una rovinosa caduta nell’alcolismo e nell’abuso di stupefacenti che minò la sua immagine pubblica.

Dopo una banale denuncia per guida con i fari accessi in orario di coprifuoco bellico, reagì in maniera insolente al poliziotto che l’aveva fermata. Seguirono vari processi nei quali l’attrice riusciva sempre a peggiorare la propria posizione con un atteggiamento polemico e indisponente verso polizia e giudici, gettò perfino un calamaio in faccia al giudice.

La stampa nazionale si interessò alla vicenda con titoli sensazionali e foto che ritraevano la bionda Frances Farmer tra i poliziotti che scalciava come una furia. Il peggio arrivò quando sua madre, per sottrarla alla prigione, ottenne che fosse ricoverata presso una struttura sanitaria per ricevere cure psichiatriche.

Le vennero applicate, per mesi, le cure più moderne della psichiatria degli anni 40: bagni in acqua gelata, letti di contenzione, elettroshock e coma insulinici. Trattamenti che distrussero il suo equilibrio psichico.

Una volta dimessa perché “guarita”, visibilmente segnata da questa esperienza, rifiutò ogni aiuto e finì con il ricacciarsi nei guai, collezionando denunce per resistenza alla polizia, vagabondaggio e ubriachezza.

Poco tempo dopo, fu di nuovo rinchiusa in un reparto psichiatrico per cinque anni, insieme a dementi e criminali comuni.

Oltre al consueto trattamento di elettroshock e shock di insulina, subì torture e soprusi orribili: riferì di essere stata picchiata, tenuta legata in isolamento, morsa da topi nella cella, violentata dagli inservienti dell’ospedale e prostituita ai soldati ubriachi della vicina base militare.

Si dice anche che durante il ricovero venne sottoposta a lobotomia transorbitale, una tecnica collaudata dal neurologo Walter Freeman per calmare gli “agitati” e che lo stesso eseguiva in giro per gli States, servendosi di un martello e di una sorta di rompighiaccio-bisturi con il quale interveniva chirurgicamente nel cervello della paziente attraverso un piccolo foro al di sopra delle palpebre.

Rilasciata dopo anni di torture, Frances non tornò più quella di prima e sviluppò una dipendenza da alcool e anfetamine.

Negli ultimi anni della sua vita, visse sotto falso nome facendo diversi mestieri fino a quando, alla fine degli anni 50, fu scovata da un giornalista a caccia di scoop. La ragazzaccia di Seattle riapparve così in programmi televisivi locali e nazionali, costretta a recitare sempre lo stesso copione; le attribuirono anche una ritrovata fede religiosa che in precedenza non aveva mai avuto. Appariva confusa e sempre più spesso ubriaca; ma, dopo qualche anno si stancarono di lei e della sua storia.

Poco prima di morire di cancro a 57 anni, nel 1970, scrisse l’autobiografia, Will there really be a morning?

Per molto tempo le biografie hanno raccontato la storia di Frances Farmer ponendo l’accento sulle vicende personali e sulle sue debolezze, facendo di lei una delle tante attrici di provincia rimaste schiacciate dallo star system di Hollywood e dagli eccessi.

Invece, per comprendere pienamente quella che oggi appare un vero e propri caso di persecuzione ideologica, al quale in molti presero parte o assistettero compiaciuti, occorre riferirsi anzitutto al clima politico e sociale dell’epoca.

Qualche secolo prima, una ragazzaccia insolente e non addomesticabile come Frances Farmer sarebbe stata sicuramente bruciata come strega.

Ma la bigotta e reazionaria società americana degli anni 40 trovò, comunque, il modo per metterla a tacere.

Una storia triste, quella di Frances Farmer, una donna che non ha voluto e potuto omologarsi in un mondo che la respingeva.

 

#unadonnalgiorno

 

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