Edina Altara, poliedrica artista sarda del ventesimo secolo, è stata pittrice, ceramista, creatrice di moda, designer e pubblicitaria.
Ha illustrato una trentina di libri per l’infanzia e collaborato con numerose riviste e periodici.
La sua ricerca si inserisce in quel movimento di modernizzazione del primo Novecento in cui l’arte ha incontrato la produzione industriale e l’espressività popolare.
A diciassette anni aveva già ideato una serie di balocchi di cartoncino e non ne aveva ancora venti quando il re Vittorio Emanuele III acquistò la sua opera Nella terra degli intrepidi sardi. Il collage, noto anche col titolo Jesus salvadelu è oggi esposto al Quirinale.
Nata a Sassari, il 9 luglio 1898 in una famiglia agiata, fin da bambina aveva mostrato una notevole propensione per il disegno, i colori e l’uso della carta.
Amava sperimentare e, in modo autonomo e da autodidatta, sviluppò presto un notevole senso estetico e una manualità allenata al ritaglio prima ancora che al disegno.
Si interessava di antiquariato, ma anche delle nuove tecniche produttive, esercitandosi in mille piccole attività, dal ripristino di oggetti antichi alla creazione di complementi d’arredo, alla decorazione, alla pittura. Utilizzava tessuti, carte colorate e frammenti di vetro con cui componeva scene e figure.
Il suo debutto avvenne nel 1917 con la mostra Società degli amici dell’Arte di Torino, dove il suo collage venne notato e comprato dal re.
Trasferitasi a Casale Monferrato, collaborava con diverse riviste quando, nel 1922 conobbe e sposò Vittorio Accornero de Testa, affermato scrittore, disegnatore e scenografo. Firmandosi Edina e Max Ninon, insieme, diedero vita a illustrazioni, cartoline, calendari, prodotti pubblicitari e lavori dal gusto Decò. Lei realizzava i personaggi e lui gli ambienti.
Il suo talento spaziava dal disegno alla moda. Dopo la separazione dal marito nel 1934, aveva aperto un atelier nella sua casa di Milano, dove fioccarono le richieste per lavori artistico di ogni sorta.
Si era anche dedicata con grande successo alla decorazione di maioliche prodotte da alcune ditte faentine e torinesi; progettava ciò che altri avrebbero poi riprodotto.
Durante la guerra, insieme alle sorelle, aveva creato una società di decorazione e progettazione di oggetti in ceramica che è stato un importante esempio di imprenditoria femminile, capace di consentire proventi sicuri in un periodo difficile come quello bellico.
Edina Altara ha disegnato per tutte le più importanti pubblicazioni femminili italiane. Il suo stile colto e informato, spaziava dalle curve flessuose del Liberty alla geometrie del Decò, fino a riferimenti più arcaici al mondo delle tradizioni sarde e alle figure ieratiche di Massimo Campigli, reinterpretate in un’opera emblematica come Penelope, un olio su masonite databile agli Anni Cinquanta.
Ha collaborato con tutte le più importanti riviste, tra cui Grazia e Bellezza, diretta da Gio Ponti, con cui ha lavorato a lungo, soprattutto nel design, aiutandolo nei progetti di arredamento. Tra questi spiccano gli allestimenti di cinque grandi transatlantici italiani tra i quali l’Andrea Doria e il Conte Grande, per la sala ristorante di quest’ultimo hanno dipinto, a quattro mani, il pannello su vetro Allegoria del viaggiare (1950).
Quando il dibattito generale riprese a considerare secondarie le arti applicate, la sua poliedrica attività venne declassata a mera produzione decorativa.
Negli ultimi anni riceveva spesso commissioni per soggetti molto convenzionali, ai quali si adattava suo malgrado, pur di lavorare.
Si è spenta nella sua amata Sardegna, a Lanusei, l’11 aprile 1983.
Dopo la sua morte il suo nome era sparito dalla memoria collettiva, di recente, però, grazie al lavoro del pronipote, il giornalista Federico Spano, titolare dell’Archivio Altara, le sono state dedicate diverse retrospettive, che hanno saputo mettere l’accento sulla sua esperienza di imprenditorialità creativa e le utili ripercussioni per le nuove generazioni.
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